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Firenze, 25 giugno 2006 Lavoro prodotto dal Ven.Fr. R.R. |
Il silenzio iniziatico
Ogni volta che un profano viene iniziato, è consuetudine parlargli del silenzio che, per i primi tempi, deve osservare durante le riunioni e le agapi rituali. Molto spesso questo avvertimento è accolto con perplessità dal nuovo fratello anche se il suo senso del dovere non gli consente di eccepire alcunché. La raccomandazione potrebbe apparire, a tutti coloro che non hanno dimestichezza con la via iniziatica, come un’esosa imposizione che nasce dal desiderio di voler esercitare una prerogativa di gerarchia profana, mentre si tratta di un principio virtuale che richiede un approfondito esame e ben altra considerazione simbolica. E’ importante chiarire che non viene richiesto al neofita di restare muto, ma di osservare un rispettoso silenzio nell’attesa di una sua maturazione iniziatica. Per questo si potrebbe creare un equivoco fra silenzio e mutismo i quali hanno, invece, significati estremamente differenti. Il silenzio, come dice Wittengstein, deve essere l’atteggiamento di fronte ai problemi della vita: “Di ciò di cui non si può parlare si deve tacere” (Tractatus logico-philosophicus,7). La ricerca del sacro non è necessariamente esclusiva prerogativa della religione; l’uomo stesso, quale massima espressione della creazione, nella ricerca del suo scopo, si accosta, in qualche modo, quotidianamente al sacro e non lo può fare se non in un silenzio attonito che gli permetterà, lontano dal clamore e dalle parole inutili, di avere almeno un barlume di questa grazia o un riflesso quanto meno indiretto, poiché, dice Pietro Citati: “Come i nostri occhi non possono sostenere la vista del sole, così ci è negata la percezione diretta del sacro”. Ma il silenzio che permette una concentrazione necessaria per guardare nel profondo di noi stessi, è lo strumento indispensabile a questo scopo. E di fronte ad una esperienza nuova e particolare che comincia a percorrere provenendo da un mondo profano, ancora privo di quegli strumenti che imparerà ad usare strada facendo, cosa potrebbe usare il nuovo Fratello se non lo strumento del silenzio? Egli ha bisogno di aprire un varco per iniziare a percorre una nuova via e quale migliore sistema può metter in atto che non sia un silenzio idoneo a preparare questo passaggio? E’ certo che, proprio a causa di ciò, non si deve confondere questo primo dovere con il mutismo, il quale, invece di aprire una nuova strada, inevitabilmente tenderebbe a chiuderla. Il silenzio può essere definito il preludio ad una rivelazione, mentre il mutismo si può configurare come una chiusura, alla stregua di un atteggiamento di rifiuto a riceverla e a trasmetterla, poiché offuscata ancora da scorie profane come le passioni, i pregiudizi, le superstizioni e le intolleranze. Molto spesso un silenzio dice molto più di tante parole; basterebbe l’esempio della musica per comprendere quanto sia importante una pausa: essa arricchisce ciò che precede e rende ancora più interessante l’aspettativa per ciò che ancora deve avvenire. E come è importante che l’interprete sappia dosare con grande maestria quel silenzio premonitore e rivelatore di chissà quante meraviglie ancora! Non c’e niente di più adatto di quell’attimo sospeso per arricchire l’atmosfera di interesse, curiosità e, conseguentemente, di impegno sempre maggiore per capire ulteriormente di più e ancora meglio. Il silenzio può dare alle cose, in questo modo, grandezza e maestosità, mentre il mutismo può degradarle a infima noncuranza e trascuratezza, perché il primo può nascondere grandi avvenimenti e il secondo, invece, può sottacere e nascondere tutto ciò che di più bello può albergare nell’animo umano. Non è un caso che la regola monastica consideri il silenzio una grande cerimonia e tutti coloro che la praticano sanno benissimo che per ricevere Dio c’è bisogno di un’anima che fa regnare dentro di sé il silenzio, in quanto le chiacchiere creano una grande confusione che offusca in maniera blasfema l’immagine divina. Dice Bonaventura da Bagnoregio che il silenzio è l’atteggiamento mistico di fronte all’ineffabilità dell’essere supremo (“Itinerarium mentis in Deum, VII, 5) e si può aggiungere che è anche la risposta allo stupore di fronte ad una visione materiale o spirituale, concreta o immaginaria, che, come concorda anche Jaspers, si può identificare nell’intuizione della trascendenza. “All’alta fantasia qui mancò possa”….. E’ necessario, quindi, che ci sia consapevolezza del fatto che il silenzio precede la rivelazione e il neofita deve essere convinto di questo, per cui vivrà questo dovere, alla stregua di ogni altro fratello, non come un’ imposizione, ma come una libera scelta. Egli dovrà capire l’importanza della meditazione, della riflessione e dell’introspezione in modo da ricercare in se stesso ciò che fino a prima ha cercato invano negli altri: e questo avverrà tanto meglio e tanto prima, quanto più si convincerà che non è necessario parlare soltanto perché, così, si crede di poter gestire meglio le parole che il silenzio. Quando capirà che è davvero meraviglioso il mondo intorno a noi, ma ancor più lo è quello dentro di noi, egli avrà fatto un grande passo in avanti verso l’ambizioso traguardo di una “Vita nova”, durante la quale scoprirà che, in un rapporto fraterno, è meglio avere un cuore senza parole, piuttosto che parole senza un cuore. Molto spesso si sente parlare di segreto della massoneria e non si sa che dovrebbe essere usato un aggettivo appropriato per completare il concetto e cioè: iniziatico. Il fratello Lessing ha detto che: “L’arcano della massoneria consiste in questo: che, se anche lo volesse, il massone non può farlo affiorare sulle sue labbra”. Viene da pensare che sia così per l’impossibilità ad esprimere questo concetto in quanto etimologicamente ineffabile. E l’ineffabilità è propria dell’infante, di colui, cioè, che osserva il silenzio perché non sa ancora parlare. Imparerà, ma dovrà attendere. E così il neofita dovrà saper aspettare di capire e questo succederà se saprà ascoltare, riflettere e meditare, in un processo introspettivo caratterizzato dal motto plurisecolare di una saggezza antica: il “Nosce te ipsum”. Il silenzio, talvolta, non è però una libera scelta, ma un’inevitabile incapacità di risposta, come avviene, per esempio, alla domanda sull’essenza della massoneria che può essere anche semplicemente esplicitata così: “Quando qualcuno chiede che cosa sia la Massoneria, l’imbarazzo a rispondere è grande per chiunque, perché è come se un cieco ti domandasse come è fatto il cielo”. E prima di esprimere qualcosa di banale è meglio tacere. Al neofita, assorto nel suo silenzio e intento alla dovuta meditazione, nel momento in cui inizierà il suo nuovo percorso, verrà spiegato che la strada non è mai indicata da una grande luce, ma, come sa bene il Maestro, da una flebile fiammella; importante è saperla scorgere con gli occhi dell’anima, nella sua introspettiva quiete silenziosa, per poterla seguire, con serena speranza, sino alla fine del cammino.
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