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In memoria di un fratello scomparso
Vincitori della rassegna Arti Liberali In memoria di un fratello scomparso Firenze, 18 Novembre 2000 Poche parole rendono merito alla persona di Giovanni e all’insegnamento che ci ha lasciato come queste. Giovanni aveva capito da tempo che in Massoneria la Forma è sostanza e più la Forma è bella, più la sostanza trova motivi per crescere ed arricchirsi. Lo studio del particolare di una Cerimonia, metterlo in pratica, tramandare queste percezioni ad altri Fratelli era il suo modo di essere Massone ed uomo. Sapeva che gli insegnamenti provenienti da un gesto, da un simbolo, da una parola non erano un vuoto simulacro ma il modo perché ognuno di noi costruisse il suo Tempio Interiore e fosse migliore nella vita di tutti i giorni. Giovanni aveva l’umiltà di apprendere e la Maestria di Insegnare e tutto questo non può certo stupire chi conosceva profondamente l’uomo buono ed il galantuomo che albergavano nel suo animo. Credo che lui per primo sarebbe contento se il vuoto, che la sua scomparsa ha provocato in tutti noi, lasciasse il posto ad un pieno, costituito dalla messa in opera delle sue parole. La perdita di uomini come Giovanni e la sua eredità morale non riguarda infatti una singola Loggia ma tutti i fratelli e le persone che gli hanno voluto bene e sono stati toccati dai suoi insegnamenti. Oggi avrebbe conquistato, col tempo, anche quei fratelli, che non l’hanno potuto conoscere a fondo. Avrebbero capito grazie a lui l’importanza e l’onore del ruolo che un fratello è chiamato ad assolvere se la Loggia lo reputa degno e con semplicità avrebbe fatto comprendere come lo spirito di servizio è l’unico modo per essere realmente gratificati interiormente. In questo Tempio ho avuto la fortuna di lavorare, insieme ad altri Fratelli, con Giovanni come Maestro Venerabile. Autorevole e dolce nel condurre i Lavori; bastava osservarlo e sentire il suo primo colpo di Maglietto per capire che la Tornata sarebbe proceduta con armonia e gioia. Severo durante le prove e minuzioso nel preparare i particolari; non ometteva mai di farci capire cosa c’era dietro un gesto… e inevitabilmente tutti questi consigli ed insegnamenti si facevano strada in noi e ci riempivano e ci nutrivano di un grande sentimento: l’amore fraterno. Amore fraterno che faceva sentire forte il senso di una comune appartenenza e l’onore di essere Loggia e quindi parte viva dell’ Istituzione Massonica. Entravamo in Loggia con grande Sacralità ma, il paragone non sembri irriverente, anche con la tensione emotiva paragonabile a quella di una squadra di calcio che si gioca una finale di Coppa: … concentrati, determinati, con la percezione di essere pronti ad aiutarci l’uno con l’altro, consci della nostra diversità ma importanti tutti per ottenere il risultato e lui… era semplicemente il nostro Capitano, il nostro allenatore in campo, pronto a suggerirci le battute o a farci segno che andava bene anche un sinonimo pur di non inceppare la cerimonia. …Addio mio Capitano, mi consola e ci deve consolare tutti che ora conosci la Verità. Quelle domande a cui tanto ci affanniamo a rispondere come uomini di desiderio (da dove veniamo, chi siamo, dove andiamo) hanno trovato in te risposta e pace. Questa pace, ne sono sicuro, non farà mai diminuire la “cura del particolare” che non abbandonerà mai il tuo Spirito ed una volta che ti sarai abituato alla Grande Luce della Gran Loggia Superiore cercherai con gioia di constatare se tutto è realmente perfetto. Sono pronto a scommettere, e sono certo di non perdere questa scommessa, che se Lassù, si faranno delle Gioiose Riunioni, sarai in grado di giocarti le tue carte come Direttore delle Cerimonie. E se qualche Angelo o Cherubino si mostrasse insofferente ad una tua verifica sull’ordine della veste o della spada, sono sicuro che, rivolgendoti loro col tuo sorriso disarmante e i tuoi modi da galantuomo, otterresti simpatia e rispetto, ma come Confucio non potresti fare a meno di esclamare con risolutezza: ”il Rito consiste appunto in questo”. Ho detto - Lavoro prodotto dal Ven. F.llo V. B.
Firenze, 02 Febbraio 2002 Quando, stanchissimo, un Maestro si aggrappò ad un ramo di acacia questo, con sua grande meraviglia, gli rimase in mano, perché era solamente conficcato in una terra rimossa da poco….. Un poeta ha detto: “Noi non cesseremo mai di ricercare (T.S.Elliot. The four quartets). Lavoro prodotto dal Ven. Fr. R . R . della Loggia S. Galgano n. 106
Firenze, 07 MARZO 2003 Prima, un movimento dell'aria, poi, un fruscio, un sibilo sordo! Piede perno sul sinistro, mi giro. l'impugnatura della spada serrata sino ai mignoli, i gomiti flessi, le gambe allargate per sostenere l'urto, è un attimo. Arriva. Dall'alto, a sinistra, il fendente! Paro, acciaio contro acciaio. Piede perno sul destro esco dal bersaglio, il mio assalitore cade, perde la scimitarra e finisce con mento nella terra, terra santa si dice, ma sempre terra. I miei occhi si abituano al buio, lo punto e carico il braccio a colpire. E allora, alla fine ci sei giovane templare, mi dico, uccidi l'infedele! E' un attimo, mi fermo. Il saraceno è giovane, come me, e forse anche lui come me, ha perduto i compagni in questo deserto dove la sete, e la pestilenza possono più che le spade. Trema. Spada nella sinistra gli punto la lama alla gola, ma gli tendo la destra, e lui capisce. In una eternità si mette in ginocchio, tocca la lama con la destra, la scansa dal collo, ed unisce le palme delle mani, piegando il capo, in un gesto, mi sembra, di pace. Si alza, mi porge la mano destra la stringo con la mia destra, e restiamo così, per un momento al buio, sotto le stelle di questo oscuro cielo di Palestina, con il solo debole chiarore del mio fuoco di campo a rischiarare le nostre facce. Già il fuoco, dimenticavo, forse non avrei dovuto accenderlo, ma la notte qua è fredda, molto.Come durante le cacce invernali, da noi, nei boschi di querce delle Ardenne. Qualche pezzo di legno e ravvivo il fuoco, ci mettiamo seduti uno di fronte all'altro, in silenzio. Anche lui come me è rimasto senza cavallo, porta con se solo una bisaccia, ci fruga dentro, tira fuori un pane, appesa al collo ho una giberna con u pò d’acqua, dividiamo il poco che abbiamo. Silenzio. Solo il vento freddo, canta le sue storie, scendendo da tramontano. Non so dove siamo, non so orientarmi di notte, come fanno i marinai genovesi che ci hanno portato sino Tiro. Ma, siamo venuti dal mare, da ponente e dunque per raggiungere il Regno Latino di Gerusalemme, devo andare sempre a levante. Così di giorno, con il sole a meridione capirò dove andare. Forse anche l'infedele, deve fare come me, per arrivare dai suoi a Damasco, da ponente a levante, disegno questo sulla sabbia, e a gesti capisco che è proprio così. Il saraceno fruga nella bisaccia, e mi porge un strano oggetto, sembra un ventaglio come quello che usano i veneziani, davvero inutile in questa situazione, ma insiste e me ne fa dono. Così, per contraccambiare gli faccio dono del mio pugnale, poiché la sua scimitarra è spezzata e non si gira per il deserto disarmati. La notte finisce, il sole sorge, ed a levante ci indica la strada, ci alziamo e ci mettiamo in cammino tutti e due verso il proprio est. Lavoro prodotto dal Fr. D . D . della Loggia Lorenzo il Magnifico – Fiorenza n. 52
Firenze, 16 marzo 2003 Quello della solidarietà nell'ambito massonico è un argomento estremamente complesso e quanto mai delicato a causa delle insidie che presenta poiché, come speso accade per le cose semplici, tale semplicità è solo apparente e nasconde invece delle notevoli difficoltà esegetiche, derivanti dal fatto che troppo spesso, chi ne è richiesto, non tiene nella dovuta considerazione la particolare natura iniziatica dell'argomento, facendosi distrarre purtroppo da considerazioni che, se dal punto di vista profano sono ineccepibili, non altrettanto lo sono quando è necessario considerare il particolare ambiente in cui operano i Liberi Muratori e la direzione che essi devono seguire nello scindere problematiche meramente utilitaristiche da interessi speculativi di peculiare rilevanza spirituale. Non vi è dubbio che la solidarietà intesa solo e semplicemente come aiuto reciproco, ingenera inevitabilmente equivoci da società di mutuo soccorso e ancor più determina il rischio di sconfinare nella faziosità e nel settarismo, che sono notoriamente le più frequenti accuse rivolte all'Istituzione dal mondo profano e di fronte alle quali non sempre, purtroppo, possiamo rispondere adeguatamente, a mio avviso, proprio per l'errata interpretazione del termine da parte di alcuni Fratelli. Se così fosse, infatti, sarebbe una squalificante mortificazione dei nostri principi filantropici che, in ultima analisi, ci chiedono altruisticamente solidarietà verso tutto il genere umano; e altrettanto ingiustificato sarebbe confondere questo principio con il solidarismo di alcune correnti socio-religiose che mirano, per mezzo di una anacronistica organizzazione sociale di stampo, per così dire, neoplatonico, ad una semplice solidarietà fra le varie classi sociali, in contrapposizione a dottrine più attuali che predicano invece il superamento delle classi stesse, in una più moderna visione di società aperta. Questo tipo di solidarietà profana, che sembrerebbe di dover definire sempre e comunque lodevole, lo ritroviamo comunemente ogni giorno sotto le forme più varie e negli ambienti più disparati, come i partiti politici, le comunità religiose, le società di mutuo soccorso, le aggregazioni professionali con le loro categorie di lavoratori, le società sportive, certi particolari clubs aventi le più differenti e legittime finalità; esso è un sentimento che nasce dal riconoscersi uguali fra gli altri diversi, dall'avere interessi reciproci e comuni scopi, ma ha anche la caratteristica di non estendersi mai al di fuori del sodalizio. Infatti anche la solidarietà fra i componenti di una confessione religiosa, che parrebbe quella moralmente più elevata, non viene concessa ai seguaci di altre religioni. Questo egoistico e materialistico concetto di solidarietà può soddisfare indubitatamente certe esigenze profane e può anche giustificarsi nell'ambito di un ristretto aggregato sociale, ma è certamente insufficiente quando lo si voglia considerare dal punto di vista iniziatico ed elevarlo ad un più alto significato morale e spirituale, in un'ottica più vasta di inestimabile valenza universale. In questo senso il concetto di solidarietà travalica i suoi angusti confini contingenti per dilatarsi in un ampio respiro di umana fraternità, che è precipua caratteristica di un'istituzione iniziatica come la Libera Muratoria. Solidarietà pertanto elevata al rango di fratellanza, legame ancor più solido di quello esistente fra fratelli di sangue, perché cementato dallo spirito e proiettato finalisticamente verso un afflato generale in cui tutti gli uomini di buona volontà possano lavorare alla costruzione del Tempio per la loro completa purificazione ed elevazione morale e spirituale. E' indispensabile che ciascun Libero Muratore lavori quotidianamente per questa costruzione e sia consapevole che gli strumenti adatti allo scopo sono l'amore per il prossimo, la tolleranza, la benevolenza, l'umiltà, il desiderio di capire; elementi tutti sintetizzabili in una sola parola: solidarietà, la quale non si manifesterà solo nel tempio, ma continuamente e in ogni luogo, in Loggia e nel mondo, con i Fratelli e con i profani. E se è inevitabile che anche in ambito massonico possa essere necessario applicare talvolta quel tipo di solidarietà materiale che abbiamo definito profana, è oltremodo importante che ciò non rivesta carattere preminente e finalistico dell'appartenenza all'Istituzione, ma sia un "gradito dovere", espressione logica e conseguente di quell'amore fraterno che nulla chiede e tutto concede. Ed è essenziale che non ci sia interesse alcuno da parte di chi dà, né esosa richiesta da parte di chi riceve, poiché, come ho già detto, sarebbe uno svilire i nostri sacri principi se, nel considerare l'argomento, ci limitassimo al particolare utilitaristico, invece di proporci orizzonti più vasti e mete più lontane anche se ambiziose e forse utopistiche. Per quanto un iniziato possa ricercare introspettivamente per costruire il proprio Tempio e levigare la propria pietra, è necessario comunque che, uomo tra gli uomini, con schietto spirito di solidarietà, doni questa pietra per l'elevazione di un edificio più importante da costruire tutti insieme, in un abbraccio generale che accolga l'umanità intera, per il cui bene e progresso noi lavoriamo ininterrottamente. Ed egli non potrà portare questo fardello da solo, come da solo non può affrontare l'angoscioso mistero che ci trascende, ma ha bisogno di tutto l'amore che il prossimo potrà restituirgli in cambio di quella solidarietà che egli avrà elargito e che deve perciò oltrepassare i limiti dell'umano tornaconto personale e del miope bisogno materiale. Pertanto, per quanto lodevole e necessario, lo sforzo individuale non è tuttavia sufficiente a gratificare un'esistenza, la quale solo in un rapporto solidale con i propri simili può trovare conforto e pieno appagamento. E poiché l'uomo, inserito, com'è oggi, in una società di stampo consumistico e quindi povera di ideali morali e spirituali, è generalmente restio a considerare ciò che non è strettamente materiale, è necessario che possa trovare un luogo dove, divenuto parte integrante dell'egregoro, impari a riconoscere i veri valori della vita che gli ridiano la sua dignità umana, attraverso la trasmissione, da parte di Compagni e Maestri più anziani, di quei principi fondamentali della tradizione iniziatica che fanno di un uomo qualunque un Libero Muratore. Lavoro prodotto dal Ven. Fr. R . R . della Loggia S. Galgano n. 106
Siena , 16 Luglio 2003 Sembrare ed essere Il concetto di libertà è alquanto fumoso e di difficile definizione se anche l’Encyclopédie non ne chiarisce le connotazioni generali, ma affronta l’argomento suddividendolo nelle varie applicazioni individuali e sociali: libertà di pensiero, di espressione, di associazione e così via. E’ indubbio perciò che la libertà può essere variamente interpretata secondo le diverse angolazioni da cui si considera e che ne propongono altrettante prospettive attraverso le quali si può avere la sensazione che sia impossibile evincerne un significato univoco o un assunto concettuale, proprio perché il soggettivismo individuale porta a opinioni diverse che, se non stemperate dal rispetto reciproco e dalla necessità di un confronto dialettico e civile, possono sconfinare nell’intolleranza tanto più perniciosa quanto meno riconosciuta; infatti un uomo è libero quanto più si considera tale, ma più è tollerante quanto meno è convinto di esserlo. Appare, forse a torto, troppo semplicistico pensare ad una libertà che, in senso generale, ci affranca dalla necessità (libertà negativa), ma dobbiamo pur riconoscere che questi vincoli esistono e che sono addirittura preminenti rispetto alle varie libertà contingenti del vivere quotidiano; ma è forse proprio l’anelito a liberarsi da queste catene che fa dell’uomo qualunque un uomo libero attraverso l’affermazione di una libertà definita positiva, che nasce cioè non tanto dal non essere impediti o non essere costretti, quanto invece dall’autodeterminazione, vale a dire dalla possibilità di orientare il proprio volere secondo un proprio principio, concetto reso celebre dalla definizione che Rousseau ne dà nel “Contratto sociale”: “La libertà è l’obbedienza alla legge che ci siamo prescritti” (libertà positiva). Il concetto di libertà è quindi dialetticamente contrapposto a quello di necessità e si potrebbe dire che la libertà è la facoltà di agire e non di reagire; è la possibilità cioè di fare qualcosa spontaneamente, per iniziativa della propria volontà e ancor più della ragione e non soltanto per impulsi sensibili o esterni. Questo aspetto razionale del problema che si rifà, dopo Rousseau, anche al concetto kantiano di libertà intesa come autonomia, come dipendenza, appunto, esclusiva dalla ragione che dona legge a se stessa invece di attingerla dal di fuori, mi sembra che laicamente possa essere più soddisfacente di altre definizioni contrastanti anche nell’ambito di una stessa religione, la cristiana, fra il libero arbitrio e il determinismo a conferma che non è affatto facile significare la libertà in assoluto se addirittura, ancora oggi, dopo secoli di dibattiti teologici, si contrappongono la libera scelta cattolica e la predestinazione della chiesa riformata. Senza voler privilegiare un razionalismo esasperato, credo sia necessario però che un uomo, per arrivare alla libertà, debba cercare di capire: “Neque ridere, neque lugere, sed intelligere” ha detto Spinoza. Chi sente questo bisogno, chi non si accontenta di credere con acquiescenza a dogmi o verità rivelate, vale a dire l’ “uomo di desiderio” che aspira ad essere egregio (nel senso etimologico del termine: ex grege), può considerarsi un uomo libero; costui sarà sempre e comunque animato dal dubbio, da quel “sano dubbio” che Borges ha definito “uno dei nomi dell’intelligenza”, strumento indispensabile per iniziare a capire in quanto “più capisco, più amo, perché tutto ciò che è capito è Bene” (J. Pawels – Il mattino dei maghi). Allora, forse, solo la volontà chiarificatrice della ragione può, in qualche modo, se non risolvere, almeno impostare un procedimento analitico conoscitivo; fare cioè del problema della libertà un problema di conoscenza che, liberandoci dall’ignoranza, ci liberi parimenti e conseguentemente anche dai ceppi della superstizione, del pregiudizio e soprattutto dell’intolleranza: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. Ecco che allora la libertà potrebbe configurarsi come posizione gnostica, critica, di ricerca di fronte all’angoscioso interrogativo cosmico dell’esistenza. Queste riflessioni fanno apparire la libertà come un’entità che non può essere sentita come uno stato presente e godibile definitivamente una volta acquisito, ma come qualcosa che vale solo in quanto è oggetto dinamico di una tensione, uno stato che esiste solamente perché la volontà lo vuole raggiungere e che nel momento stesso in cui lo afferra è subito di nuovo lontano, nuovamente da riconquistare. Quindi un uomo può chiamarsi spiritualmente libero e distinguersi dal servo, così come Tamino si distingue da Papageno, se è animato da questo anelito di ricerca e dal desiderio, perciò, della conoscenza. Il problema della conoscenza verte sul rapporto che intercorre tra l’oggetto da conoscere e il soggetto indagatore, per cui esso propone un numero esorbitante di soluzioni, un numero tanto grande, teoricamente, quanto l’intero consorzio umano. Tutto ciò deriva dal fatto che non possiamo negare la soggettività di ogni conoscenza, in quanto ogni individuo ha il suo punto di vista e quindi la sua prospettiva e di conseguenza la propria presunta conoscenza. Ne consegue, a mio parere, che non è possibile procedere oggettivamente in un divenire del conoscere se non valutando appieno l’importanza delle opinioni altrui attraverso un atteggiamento di umiltà, benevolenza e conseguentemente di tolleranza. E’ evidente che questa virtuosa qualità umana riconosce la sua essenza in un dovere di reciproco rispetto, ma anche di coerente razionalità, poiché senza di essa non potrebbe esistere un logico procedimento dialettico di conoscenza o per l’impossibilità di confrontare tesi e antitesi o per l’insorgere di insormontabili barriere assolutistiche e quindi aprioristicamente immodificabili, venendosi così a determinare una pietrificazione della conoscenza a tutto detrimento del progresso e della civile convivenza. E’ opportuno a questo punto spiegare teoricamente quanto detto per dimostrare l’importanza di rispettare i diversi punti di vista, che sono necessariamente tali perché nessuno può vedere una stessa cosa con lo stesso angolo di visuale: infatti, perché ciò possa avvenire, è necessaria un’impossibile compenetrazione dei corpi, altrimenti due individui, per quanto posti l’uno vicino all’altro, avranno sempre una visione benché minimamente diversa di una stessa cosa, che potranno così descrivere e definire soggettivamente differente, ma che potranno ugualmente afferrare nel concetto e nella sua realtà oggettiva solo confrontando le loro diverse osservazioni e opinioni. Per completezza speculativa possiamo anche considerare che, metafisicamente, la loro osservazione, pur avendo origine da angolazioni diverse, ha una possibilità di incontro e quindi di visione unica; questo avviene quando si proiettano gli sguardi non su un oggetto temporo-spazialmente ben individuato e situato, ma sull’infinito dove le rette divengono inesorabilmente parallele andando a coincidere, come un ossimoro, in un concetto assoluto nel quale si identifica la “Summa” teleologica di tutte le conoscenze. Se tutti gi uomini vedessero le cose nella stessa maniera, niente sarebbe com’è, ma tutto sarebbe come sembra. Questo concetto è la conseguenza di quanto detto finora e credo sia necessaria ancora un’esemplificazione per chiarirne il significato e dimostrarne la coerenza, poiché mi rendo conto come, a prima vista, possa nascere qualche perplessità sulla sua interpretazione. Orbene, poniamo un individuo, in maniera perfettamente ortogonale, di fronte alla base di un cubo: egli ci dirà che quello che vede è un quadrato. E ha ragione. Ma se contemporaneamente chiediamo ad un altro individuo, che non sia nella stessa posizione ortogonale nei confronti della base del cubo, che cosa vede, questi ci dirà che vede un parallelepipedo regolare. Quindi il primo, rispetto alla realtà dell’oggetto, ci descriverà qualcosa che sembra, mentre la testimonianza del secondo ci renderà conto non di quello che sembra, ma di quello che realmente è, grazie all’acquisizione di un’esperienza pluralistica. Qualcuno potrebbe obiettare che, stando così le cose, basterebbe l’osservazione del secondo individuo per sapere che cosa abbiamo davanti e quindi essere sufficiente, contraddittoriamente, un’unica osservazione. Allora potrebbe farsi strada un’altra domanda: di che colore è il cubo? Se i due primi osservatori vedono solo facce bianche, si pensa che sia sufficiente questo per asserire che il parallelepipedo è bianco? E se un terzo individuo vede un’altra faccia nascosta ai primi due e dice che questa è nera, come definiremo cromaticamente il cubo? E così via per tante altre considerazioni. Concettualmente allora possiamo e dobbiamo prendere coscienza della parzialità delle nostre cognizioni e assumere di conseguenza un atteggiamento di tolleranza, attraverso la quale concepire un rapporto costruttivo di civile convivenza da cui possa derivare anche l’amore per il prossimo e soprattutto il rispetto di noi stessi. Scarica la tavola Lavoro prodotto dal Ven. Fr. R . R . della Loggia S. Galgano n. 106
Firenze, anno 2004 Un Maestro viaggiava a piedi con i suoi discepoli, quando si accorse che discutevano tra di loro su chi fosse il migliore.
Firenze, anno 2005
Un viandante cammina per una strada assolata, finché giunge nei pressi di un cantiere, ove tre scalpellini lavoravano sotto il sole cocente. Si avvicina al primo di essi e gli chiede: “Cosa stai facendo?” E quello: “Non lo vedi? Sto sudando!” e il suo sguardo era torvo e il suo volto affaticato. Si avvicina al successivo scalpellino, gli rivolge la stessa domanda: “Cosa stai facendo?” E quello: “Non lo vedi? Mi sto guadagnando il pane!” e il suo sguardo era spento e il suo volto rassegnato. Il viandante prosegue e ripete al terzo scalpellino la domanda: “Cosa stai facendo?” E quello: “Ma come, non lo vedi?” Stiamo costruendo una cattedrale!” e i suoi occhi brillavano di soddisfazione e sul suo volto non vi era traccia di fatica.
Lavoro prodotto dal Fr. D . F . della Loggia Lorenzo il Magnifico – Fiorenza n. 52
Firenze, 25 giugno 2006 Il silenzio iniziatico
Ogni volta che un profano viene iniziato, è consuetudine parlargli del silenzio che, per i primi tempi, deve osservare durante le riunioni e le agapi rituali. Molto spesso questo avvertimento è accolto con perplessità dal nuovo fratello anche se il suo senso del dovere non gli consente di eccepire alcunché. La raccomandazione potrebbe apparire, a tutti coloro che non hanno dimestichezza con la via iniziatica, come un’esosa imposizione che nasce dal desiderio di voler esercitare una prerogativa di gerarchia profana, mentre si tratta di un principio virtuale che richiede un approfondito esame e ben altra considerazione simbolica. E’ importante chiarire che non viene richiesto al neofita di restare muto, ma di osservare un rispettoso silenzio nell’attesa di una sua maturazione iniziatica. Per questo si potrebbe creare un equivoco fra silenzio e mutismo i quali hanno, invece, significati estremamente differenti. Il silenzio, come dice Wittengstein, deve essere l’atteggiamento di fronte ai problemi della vita: “Di ciò di cui non si può parlare si deve tacere” (Tractatus logico-philosophicus,7). La ricerca del sacro non è necessariamente esclusiva prerogativa della religione; l’uomo stesso, quale massima espressione della creazione, nella ricerca del suo scopo, si accosta, in qualche modo, quotidianamente al sacro e non lo può fare se non in un silenzio attonito che gli permetterà, lontano dal clamore e dalle parole inutili, di avere almeno un barlume di questa grazia o un riflesso quanto meno indiretto, poiché, dice Pietro Citati: “Come i nostri occhi non possono sostenere la vista del sole, così ci è negata la percezione diretta del sacro”. Ma il silenzio che permette una concentrazione necessaria per guardare nel profondo di noi stessi, è lo strumento indispensabile a questo scopo. E di fronte ad una esperienza nuova e particolare che comincia a percorrere provenendo da un mondo profano, ancora privo di quegli strumenti che imparerà ad usare strada facendo, cosa potrebbe usare il nuovo Fratello se non lo strumento del silenzio? Egli ha bisogno di aprire un varco per iniziare a percorre una nuova via e quale migliore sistema può metter in atto che non sia un silenzio idoneo a preparare questo passaggio? E’ certo che, proprio a causa di ciò, non si deve confondere questo primo dovere con il mutismo, il quale, invece di aprire una nuova strada, inevitabilmente tenderebbe a chiuderla. Il silenzio può essere definito il preludio ad una rivelazione, mentre il mutismo si può configurare come una chiusura, alla stregua di un atteggiamento di rifiuto a riceverla e a trasmetterla, poiché offuscata ancora da scorie profane come le passioni, i pregiudizi, le superstizioni e le intolleranze. Molto spesso un silenzio dice molto più di tante parole; basterebbe l’esempio della musica per comprendere quanto sia importante una pausa: essa arricchisce ciò che precede e rende ancora più interessante l’aspettativa per ciò che ancora deve avvenire. E come è importante che l’interprete sappia dosare con grande maestria quel silenzio premonitore e rivelatore di chissà quante meraviglie ancora! Non c’e niente di più adatto di quell’attimo sospeso per arricchire l’atmosfera di interesse, curiosità e, conseguentemente, di impegno sempre maggiore per capire ulteriormente di più e ancora meglio. Il silenzio può dare alle cose, in questo modo, grandezza e maestosità, mentre il mutismo può degradarle a infima noncuranza e trascuratezza, perché il primo può nascondere grandi avvenimenti e il secondo, invece, può sottacere e nascondere tutto ciò che di più bello può albergare nell’animo umano. Non è un caso che la regola monastica consideri il silenzio una grande cerimonia e tutti coloro che la praticano sanno benissimo che per ricevere Dio c’è bisogno di un’anima che fa regnare dentro di sé il silenzio, in quanto le chiacchiere creano una grande confusione che offusca in maniera blasfema l’immagine divina. Dice Bonaventura da Bagnoregio che il silenzio è l’atteggiamento mistico di fronte all’ineffabilità dell’essere supremo (“Itinerarium mentis in Deum, VII, 5) e si può aggiungere che è anche la risposta allo stupore di fronte ad una visione materiale o spirituale, concreta o immaginaria, che, come concorda anche Jaspers, si può identificare nell’intuizione della trascendenza. “All’alta fantasia qui mancò possa”….. E’ necessario, quindi, che ci sia consapevolezza del fatto che il silenzio precede la rivelazione e il neofita deve essere convinto di questo, per cui vivrà questo dovere, alla stregua di ogni altro fratello, non come un’ imposizione, ma come una libera scelta. Egli dovrà capire l’importanza della meditazione, della riflessione e dell’introspezione in modo da ricercare in se stesso ciò che fino a prima ha cercato invano negli altri: e questo avverrà tanto meglio e tanto prima, quanto più si convincerà che non è necessario parlare soltanto perché, così, si crede di poter gestire meglio le parole che il silenzio. Quando capirà che è davvero meraviglioso il mondo intorno a noi, ma ancor più lo è quello dentro di noi, egli avrà fatto un grande passo in avanti verso l’ambizioso traguardo di una “Vita nova”, durante la quale scoprirà che, in un rapporto fraterno, è meglio avere un cuore senza parole, piuttosto che parole senza un cuore. Molto spesso si sente parlare di segreto della massoneria e non si sa che dovrebbe essere usato un aggettivo appropriato per completare il concetto e cioè: iniziatico. Il fratello Lessing ha detto che: “L’arcano della massoneria consiste in questo: che, se anche lo volesse, il massone non può farlo affiorare sulle sue labbra”. Viene da pensare che sia così per l’impossibilità ad esprimere questo concetto in quanto etimologicamente ineffabile. E l’ineffabilità è propria dell’infante, di colui, cioè, che osserva il silenzio perché non sa ancora parlare. Imparerà, ma dovrà attendere. E così il neofita dovrà saper aspettare di capire e questo succederà se saprà ascoltare, riflettere e meditare, in un processo introspettivo caratterizzato dal motto plurisecolare di una saggezza antica: il “Nosce te ipsum”. Il silenzio, talvolta, non è però una libera scelta, ma un’inevitabile incapacità di risposta, come avviene, per esempio, alla domanda sull’essenza della massoneria che può essere anche semplicemente esplicitata così: “Quando qualcuno chiede che cosa sia la Massoneria, l’imbarazzo a rispondere è grande per chiunque, perché è come se un cieco ti domandasse come è fatto il cielo”. E prima di esprimere qualcosa di banale è meglio tacere. Al neofita, assorto nel suo silenzio e intento alla dovuta meditazione, nel momento in cui inizierà il suo nuovo percorso, verrà spiegato che la strada non è mai indicata da una grande luce, ma, come sa bene il Maestro, da una flebile fiammella; importante è saperla scorgere con gli occhi dell’anima, nella sua introspettiva quiete silenziosa, per poterla seguire, con serena speranza, sino alla fine del cammino.
CASTEL DEL MONTE, un Tempio Iniziatico ? Nel pensiero di Papa Innocenzo III, Federico di Svevia figlio di Enrico VI e di Costanza d’Altavilla, doveva essere un re debole e distante dalla politica quando all’età di quattro anni assunse l’eredità paterna del regno dell’Italia Meridionale, del ducato di Puglia e del principato di Capua. Come spesso accade le aspettative del tutore non furono confermate, anzi alla morte del Papa, Federico, nelle cui vene scorreva il sangue degli Hohestaufen, seppe, a soli quindici anni, con forza, coraggio e grande determinazione ricostruire, nel 1209, il Sacro Romano Impero assumendo il nome di Federico II in successione al nonno, Federico I “Barbarossa”. Federico fu uomo politico, guerriero, filosofo, architetto, letterato e mecenate oltre che ineguagliabile esempio tra gli uomini del suo tempo tanto da meritarsi l’appellativo di “stupor mundi”, regnò per più di quaranta anni lasciando grandi opere tra le quali, non ultima, Castel del Monte . L’idea di costruire quel monumentale Castello, probabilmente, maturò completamente a Federico al ritorno dalla Sesta Crociata, dove, senza spargimenti di sangue, negoziò, con il Sultano di Egitto e quello di Siria, la ricostruzione del Regno di Gerusalemme e dei Territori Santi, di cui si fece incoronare Re, inimicandosi, per questo, i Templari. Egli volle, forse, rimediare al torto con Castel del Monte? Possibile, ma non vi sono documenti al riguardo. V’è da dire che a Federico fecero sempre gola le ricchezze dell’ordine e quindi, pur in modo discontinuo rivalità vi fu sempre tra Impero e Ordine. Federico, tornando velocemente nel suo regno per problemi con il papato, portò al suo seguito e trattenne alla sua corte alcuni saggi e sapienti di religione ebraica ed islamica tra i quali due Maestri Cabalisti Jacob Ben Abbamari e Giuda Cohen, oltre a matematici ed astrologi, oggi diremmo astronomi. Tali personaggi si aggiunsero ad altri grandi che erano amici stretti di Federico, quali Pier delle Vigne ed un grande matematico, forse il più grande di quel tempo, il pisano Leonardo Fibonacci, noto anche come magister Bigollo. Fibonacci scrisse dopo numerosi viaggi in Egitto, Siria, Grecia, il “Liber Abbaci” che per oltre tre secoli, fino a Pacioli, formerà maestri ed allievi matematici. Un’opera straordinaria e colossale che porterà in Occidente i numeri indiani, usati dagli arabi, sino ad allora sconosciuti,che farà conoscere in Occidente lo “0”, dando vita alla possibilità di nuovi calcoli matematici più complessi. Leonardo Fibonacci fu autore di una seconda opera, ”Practica Geometrica”, e della serie ricorrente, nella quale ogni termine è la somma dei due che lo precedono (1, 2, 3, 5, 8, 13 ,21, 34…). Tale serie detta, appunto, di Fibonacci si riscontra nelle dimensioni della costruzione di Castel del Monte. Federico amava il sapere, tanto da farlo fondare a Napoli la più antica Università, che ancor oggi porta il suo nome e da farlo rifondare, su basi moderne, la Scuola Medica Salernitana, ed a tal proposito emanando nuove leggi, che per la prima volta, regolavano la professione di medico e di farmacista. Nell’anno del Signore 1240 il 28 di Gennaio in Gubbio, Federico II firma un decreto diretto a Riccardo di Montefusco, Giustiziere di Capitanata :”… poiché per il castello che presso Santa Maria del Monte da Noi intendiamo là edificare per mezzo tuo, anche se non si trova nel territorio di tua competenza Vogliamo far subito costruire l’actractum con calce e pietre e tutto ciò che è necessario…essere informati con frequenza sull’ andamento dei lavori...”, unico documento su Castel del Monte, chiamato Castello presso Santa Maria del Monte, dal nome di un convento cistercense con la chiesa dedicata alla Vergine Maria; infatti il nome attuale comparirà per la prima volta nel 1463 come attesta un decreto di Ferdinando d’Aragona. Il termine “actractum” è oggetto di molte interpretazioni discordanti, da molti tradotto in lastricato di mattoni o pavimentazione, da alcuni fondamenta. Dalla sua esatta comprensione dipende anche la data di inizio o della fine dei lavori di Castel del Monte. Tale parola viene intesa come copertura del terrazzo, dando l’idea dell’opera finita? Come lastricato del piano terra? Come la pavimentazione del primo piano? Come restauro di una più antica dimora preesistente? Non ci sono risposte certe a queste domande. La vicina abbazia era luogo di religiosità e di preghiera ma anche luogo dove vivevano i monaci Cistercensi, che sicuramente erano molto vicini all’Imperatore. Era dunque un luogo dove venivano, dopo lunghe e dotte conversazioni, svelati alcuni segreti ? Un rapido inciso, per ricordare come nel 1250, Federico morente volle essere rivestito con un saio cistercense e avere la mano ornata con un anello d’oro con una pietra di smeraldo a forma di fiore ad otto petali, la cosa si scoprì solo alla fine del 1700 quando la sua tomba nella Cattedrale di Palermo venne aperta per la prima volta. E’ possibile che l’Imperatore Federico II fosse anche un Iniziato, il quale volle, con la pietra, dare forma, tra simboli ed allegorie, ad un vero e proprio Tempio Iniziatico, a memoria di quel segreto mistico, magico e religioso che all’epoca era detenuto da una elite di adepti, sin dai tempi di Roberto il Guiscardo, avo di Federico per parte di madre, di origini bretoni. Simbolismo cosmico astrale (le stelle, lo zodiaco, il sole, la luna): le sale si trasformano nell’ immagine del Cosmo e di ogni Sapienza. Il Castello stesso diviene una completa allegoria all’ordine universale e alla geometria pitagorica e platonica, ricordiamo come Platone nell’Accademia da lui fondata volle la scritta: “Qui non si entra se non si è geometri”. Non è certo mia intenzione addentrarmi nel vasto campo delle ipotesi, che per quanto giuste possano essere, non porranno mai la parola Fine per la loro stessa vastità. Esse lasciano spazio alla riflessione di ciascuno. Tuttavia stupisce come nell’arco di qualche decennio, nel XIII secolo, nacquero capolavori gotici in tutta Europa che trasudano un sapere scientifico unitamente ad un bagaglio mistico, magico, ed esoterico, che all'epoca non era affatto disgiunto dal cosiddetto razionale. Nel suo aspetto più ingegneristico Castel del Monte è geometricamente scandito dal Sole, tutta la sua progettazione pare legata alla progressione di solstizi ed equinozi. Se quanto segue può essere attendibile non ci è dato saperlo, all’epoca di Castel del Monte Fede e Scienza costituivano un unico, la separazione l’abbiamo effettuata noi, con la nostra logica materialistica di vedere le cose, ma che nulla ha a che fare con i pensieri dell’uomo medioevale. Castel del Monte, nel rispetto di una tradizione esoterica, è un concentrato di simboli cosmici e quindi di implicazioni astronomiche, geografiche, matematiche e geometriche:
Tutti gli spazi chiusi del castello (cortile, sale, circonferenza circoscritta al manufatto, recinzione esterna ottagonale, vasca del cortile) sono scanditi dal Sole, mediante ombre reali e teoriche, all’ingresso dell’astro nei segni zodiacali. Il Castello obbedendo ai rapporti dettati dal Sole e dalla matematica non poteva tener conto di un modulo di misura che fosse applicato in tutte le sue parti, perché la progettazione non era a discrezione di un architetto, ma era soltanto sviluppo armonico di premesse geometriche. Tuttavia un modulo di misura iniziale c’è, anche se cede subito il passo a dettati geometrici che fanno sbocciare il Castello letteralmente come un fiore, e vedremo che è anche il modulo più logico. Osserviamo innanzi tutto come nasce il Castello da questa elaborazione geometrica che, peraltro, coesiste con le cadenze astronomiche confermandoci che gli antichi costruttori conoscevano segreti che consentivano loro, nell’edificazione di monumenti di particolare significato, di armonizzare le leggi della matematica e della geometria con quelle naturali dell’astronomia e della geografia. Tracciamo quattro rettangoli in rapporto aureo, cioè che abbiano il lato maggiore e quello minore nel rapporto di l,618 (come dire che se dividiamo il lato più lungo per 1,618 otteniamo quello più corto) e disponiamoli in croce in modo da ottenere una croce greca ed una croce di S. Andrea sovrapposte tra loro. Ma immaginiamo di essere noi i costruttori del Castello, i Magistri del Medio Evo, e di trovarci sul cantiere dei lavori dove ora sorge Castel del Monte e di disporre di una Tavola di Tracciamento. Disegniamo quindi sulla Tavola i quattro rettangoli. (fig. 1) Noteremo subito che al centro si disegna un ottagono ed un secondo ottagono si traccia alla periferia. Questi due ottagoni saranno le pareti delle sale del Castello. Ma non basta perché i triangoli isosceli con le loro altezze determineranno lo spessore dei muri esterni del castello e con la lunghezza dei cateti quella che deve essere la lunghezza del lato di ogni torre misurata alla base, gli zoccoli inclusi. Le torri dovranno necessariamente essere ottagonali perché l’impone l’angolo di 135° che si apre tra le coppie dei triangoli. (fig. 2) Non è finita perché se dal centro della composizione conduciamo delle rette che passino per i punti in cui le coppie dei triangoli si congiungono, otteniamo il disegno trapezoidale delle sale. (fig. 3) Appare chiaro che abbiamo fatto della geometria e che questa elaborazione possiamo realizzarla più grande o più piccola a seconda che più grandi o più piccoli siano i rettangoli in rapporto aureo che usiamo all’origine. Ma per ottenere Castel del Monte nelle dimensioni in cui lo vediamo ora abbiamo dovuto tracciare dei rettangoli con un lato di 22 metri e l’altro di 35,60 metri.. Nel 1200 il sistema metrico decimale non esisteva e quindi quei 22 metri del lato minore del rettangolo, che rappresenta la sezione aurea del lato maggiore e quindi l’essenza della divina proporzione tanto onorata dagli antichi, altro non possono essere che 40 cubiti sacri di cm 55 ciascuno (22:0,55 = 40), ossia la misura usata da Re Salomone per edificare il Tempio di Gerusalemme. Il lato più lungo dovrà essere per rispettare il rapporto aureo di 1,618 esattamente di 64,72 cubiti sacri (40 x 1,618 = 64,72) pari appunto ai 35,60 m (64,72 x 0,55 = 35,596) che oggi misuriamo. Due perciò sono le cose che si impongono alla nostra riflessione: La prima è che il Castello nel suo sviluppo geometrico non può tener conto di singole misure prestabilite per le singole parti, ma deve seguire un tracciato obbligato. La seconda è che dovendo dare necessariamente un valore alla matrice di partenza, nel nostro caso il lato minore dei rettangolo in rapporto aureo, si è scelto il cubito sacro di Re Salomone con tutte quelle significazioni esoteriche che ne discendono e sono fin troppo ovvie ai nostri occhi per soffermarcisi. Ma perché quaranta ? Il numero 40 è particolarmente simbolico nel Vecchio e nel Nuovo Testamento e sta a significare l’Aspettativa e la Penitenza.
Quaranta giorni durarono le piogge del diluvio Universale. Appare chiaro che questo numero ha un aspetto ricorrente e non casuale (escatologico direbbero i teologi cristiani; cabalistico direbbero gli ebrei; santo per il Profeta direbbero i mussulmani) si lega all’Attesa, alla Penitenza, alla Purificazione in vista di una Conquista, del raggiungimento di una Meta che esige delle prove e non si concede gratuitamente. Stando così le cose nel numero Quaranta potrebbe anche essere racchiusa la risposta sulla funzione segreta di Castel del Monte tanto idoneo - così isolato - alla meditazione collettiva con tutte le sue sale circondate da sedili in pietra, senza cucine, forni, dispense, cantine, senza alcuna vera comodità all’infuori dei servizi igienici. Se Castel del Monte era veramente destinato ad ospitare, come un grande pensatoio, i cavalieri della spiritualità, soli demiurghi tra l’immanente e il trascendente, il numero Quaranta (la Purificazione) era il solo numero deputato al tracciamento dei solco dal quale avrebbe preso corpo un altro numero, ripetuto e riecheggiato nell’architettura dei Castello, il numero otto, l’Infinito. Quando divenne impossibile continuare a sostenere per Castel del Monte la funzione militare, si ripiegò sul castello di caccia perché Federico II amava la caccia e per tale uso aveva già costruito altre dimore. Ma a parte la discutibile agibilità del manufatto per i motivi pratici che sono stati già molte volte ripetuti, riesce inspiegabile per una residenza di caccia tanta astronomia, tanta geometria, tanta matematica e tanto simbolismo cosmico. L’enunciazione di numeri e di disegni potrebbe continuare molto a lungo ed essere molto noiosa, bastano alcuni spunti di riflessione che ognuno, se vorrà, potrà approfondire.
Siamo di fronte ad un edificio unico che non ha eguali. Assolutamente perfetto nelle sue proporzioni. Ma, alla luce di tutto questo, a che doveva servire Castel del Monte ? Secondo alcuni doveva custodire un importante reliquia che l’Imperatore aveva avuto dai Templari. Secondo altri era un vero e proprio laboratorio alchemico dove praticare riti magici o, forse, per riuscire a trasformare il vile metallo in oro, o preparare la “pietra filosofale”, altre immagini allegoriche per il profano, ma concrete per l’Iniziato rappresentando la ricerca della “Conoscenza”. Altri ancora propendono per un percorso Iniziatico atto a consolidare alcuni eletti in una forma particolarissima di Credo che accordava in un “unicum” le tre religioni monoteiste ed elevava gli iniziati ad una Fede razionale legata all’ordine del Cosmo. Ma si tratta solo di ipotesi: questo segreto Castel del Monte lo tiene per se.
(fig. 1) (fig. 2)
(fig. 3) Lavoro prodotto dal Fr. M . T . della Loggia Lorenzo il Magnifico – Fiorenza n. 52
Loggia Lorenzo il Magnifico Fiorenza n°52 Excursus storico - Simbolismo - Brindisi Autore Fr. D.F. Loggia Lorenzo il Magnifico-Fiorenza n.52 Firenze
Agape – excursus storico Dal mio punto di vista, al fine di poter affrontare l’argomento “agape” è necessario investigare preliminarmente l’etimo della parola stessa. Dal dizionario del mondo profano Le Monnier (Devoto-Oli): Agape = convito fraterno presso i primi cristiani - per estensione = banchetto rituale. Da questa lata definizione scaturisce la necessità di approfondire. Nel Dictionnaire La Franc-maconnerie, alla voce Banquet, si trova la seguente dizione: “Il banchetto è una tra le più antiche e solide tradizioni massoniche. Già le Costituzioni di Anderson vi fanno allusione, al pari dei “regolamenti” che fanno loro seguito. Fin da quell’epoca, le riunioni e le assemblee di Gran Loggia si concludevano con un banchetto ed Anderson raccomanda ai Fratelli di non trasformarli in orge, precetto che sembra esser stato in generale seguito”. A sua volta il Mellor, nel Dictionnaire de franc-maconnerie et des Francs-Maçons, alla voce Banquet, riferendosi all’uso inglese, scrive che la ricreazione (refreshment) o Agape, che segue la tornata di Loggia, «è... obbligatoria». I brindisi o toasts serviti si dividono in facoltativi, obbligatori (al Re o al Presidente della Repubblica, ai sovrani e capi di Stato che proteggono la Libera Muratoria, al Gran Maestro) e tradizionali (alla Gran Loggia nazionale, al Gran Maestro Provinciale ed alla Gran Loggia Provinciale, all’eventuale neo-iniziato del giorno con quello di risposta dell’iniziato stesso, alle Logge sorelle, ai visitatori); il penultimo toast è per i Fratelli assenti e l’ultimo (quello del Tyler o Tegolatore) per «tutti i massoni poveri ed in difficoltà, per terra, sul mare od in aria, augurando una rapida consolazione alle loro sofferenze ed un pronto ritorno al Paese natio, se lo desiderino». Il Mellor precisa che «l’uso, ad ogni toast, è quello di alzarsi in piedi, dopo che il Venerabile abbia battuto un colpo di maglietto, ripetuto dai due Sorveglianti, ognuno dei quali sta seduto all'estremità della tavola (generalmente a ferro di cavallo)». Secondo il Jones, «è comunque certo che i brindisi venissero usati agli inizi del ‘700 e probabilmente anche molto prima. Anderson suggerisce che ne venne fatto uno alla festa del 1719. Nel 1757, una lettera autorizzata dal Gran Maestro stabiliva che “il primo dei nostri brindisi in loggia è quello della salute del Re e dell’Ordine,”. Sia i “Moderni” che gli “Antichi” erano d’accordo su questo punto».Che un pasto in comune fosse abitualmente consumato al termine dei lavori di Loggia, almeno a partire dal 1717 o comunque dalla fondazione della Gran Loggia di Londra, è attestato - come ricordato dalla sopra riportata voce del Dictionnaire de la franc-maconnerie - dai Doveri di un Libero Muratore allegati alle Costituzioni elaborate dall’Anderson nel 1723. Infatti, all’art. 2 dei Doveri, sotto il significativo titolo di Comportamento, quando la loggia è chiusa ed i Fratelli non sono ancora usciti, momento che consente di consegnare le relative prescrizioni dopo la chiusura dei lavori rituali, si legge: «Potete divertirvi con innocente allegria, trattandovi l’un l’altro a vostro talento, ma evitando ogni eccesso, o di spingere alcun Fratello a mangiare o bere oltre la sua inclinazione...». Gli stessi Regolamenti generali annessi alle Costituzioni (art. XXVIII-XXXII) dedicano alquanto spazio al tema del “pranzo” che fa seguito ai lavori della Gran Loggia annuale. È certo, comunque, che ancora per decenni dopo il 1717 le Logge, sia in Inghilterra sia nell’Europa continentale ove si erano nel frattempo rapidamente diffuse, continuarono a riunirsi presso taverne e locande, dimostrandosi spesso assai più interessate ai “lavori di tavola” che ad altri e più iniziatici lavori, in qualche modo legittimando la curiosa etimologia data con tutta serietà dal Lessing alla parola Masonry, come derivata da Mase, mensa o tavola. E, se pure al riguardo non si disponesse di abbondanti testimonianze d’epoca (diari, resoconti di gazzette, rapporti di polizia, etc.), basterebbe a darne conferma la sollecita preoccupazione volta a nobilitare i banchetti massonici attraverso l’analogia con le feste intrinseche ai Misteri pre-cristiani... In ogni caso, già una delle prime pubblicazioni a stampa in Italia sulla Libera Muratoria, si attardava lungamente sulla «tavola de’ Liberi Muratori» riportando, tra l’altro, queste interessanti notazioni: «Le parole che si usano a tavola sono prese dall’Artiglieria; benché io ho poi veduto che questo costume non è così rigoroso, e in diversi paesi diversamente si varia». Vi è poi la descrizione del lessico di tavola, del caricamento, del brindisi, ecc., esattamente come la si ritroverà alla fine del XVIII secolo ed all’inizio del successivo attraverso i testi francesi ed italiani. Anche Théodore-Henri de Tschoudy, che nell’Étoile flamboyante (1766) le dedicò non poche pagine, con accenti e con considerazioni che appare utile rievocare: «Le assemblee dei Massoni sono quasi sempre concluse da pasti... Ma quando una gioia savia presiede a questi quarti d’ora di rilassamento, quando le arguzie dell’ingegno, stimolate ad un certo punto dall’uso moderato di una bevanda ristoratrice, lasciano sfuggire quegli sprazzi d'immaginazione che inquadrano e disegnano, per così dire, la soddisfazione ed il piacere, dove trovarne uno più sensuale? Ai canti di prammatica, che hanno qualcosa di rude e di monotono, si mescolano talvolta canzoni ingegnose, la cui melodia ed i cui accordi sembrano unire ancor più gli animi e far meglio scaturire l’armonia dell’insieme. L’ordine dei brindisi, quello della cerimonia, malgrado il loro singolare apparato, per quanto estraneo possa apparire alla maggior parte degli usi massonici..., costituiscono nondimeno una visione, un concerto che ha qualcosa di piacevole e di seducente fin nell'inizio. L’atmosfera di schiettezza che pervade tutti i convenuti, il tono cordiale che viene assunto spontaneamente per interpretare sentimenti autentici, pongono ognuno a proprio agio: le distinzioni finiscono al di sotto della tavola, non si ode altro che il nome di fratello, il quale risuona per ogni dove; tutto, infine, contribuisce a render deliziosi questi festini nella loro semplicità...” Il nostro, cari Fratelli, è il rifugio dell’innocenza; noi lasciamo il santuario per passare nel vestibolo a banchetti deliziosi, nei quali la frugalità e la prudenza attenuano quanto vi potrebbe essere di troppo impetuoso e di eccessivamente libero. Un esercizio piacevole vi cadenza con metodo, le libagioni che facciamo ed il modo di celebrare i brindisi cari all’ordine acquistano un merito in più per l’armonia che vi regna e per il concerto di applausi con il quale esprimiamo i nostri auspici e la nostra gioia. I nomi che impieghiamo per caratterizzare gli arredi del festino attengono agli attributi militari, giacché nessun ordinamento nella società civile è maggiormente sagomato per la precisione dei tempi di quello di una milizia ben disciplinata e ben guidata; al monarca vanno i nostri primi auguri, mentre il secondo posto spetta al capo dell’ordine in Francia; i nostri maestri, i nostri fratelli, i nostri amici, le nostre sorelle, ci farebbero prosciugare la cantina più fornita, qualora ardissimo cimentare le nostre forze con la voglia che abbiamo di sottolineare l’affetto più tenero; ma i Massoni hanno in orrore l’ebbrezza, conseguenza funesta degli eccessi; la crapula non si asside mai accanto alla virtù, la sola decenza ha diritto di riempire la sua coppa, le preoccupazioni sono bandite, i Massoni non le paventano; adusi ad intrecciar ghirlande, le rose del piacere con i gigli della sapienza, non degeneriamo mai; i nostri princìpi sono presenti sempre, nei casi del lavoro, in seno alle feste, nel momento degli svaghi, il fuoco dell’amicizia è il solo che ci riscaldi; vediamo la gioia; la afferriamo, ma ci rendiam conto dei suoi limiti e sappiamo rispettarli: che non sia mai fine, fratelli neo-iniziati, al vostro zelo per la nostra rispettabile associazione e, quanto a noi, non dismetteremo mai i sentimenti che dovete aspettarvi da noi, e che sono lusingato di garantirvi. Vivant, vivant, vivant». All’argomento del banchetto o agape dedica spazio anche il Code Maçonique des Loges réunies et rectifiées de France (1779), approvato nel Convento di Lione del 1778 che fu all’origine del Regime o Rito Scozzese Rettificato. Infatti il Cap. XV (Dei Banchetti e delle Feste) esordisce nei seguenti termini: «Tanto i banchetti troppo sontuosi, troppo chiassosi e troppo frequenti sono contrari allo spirito della Massoneria, quanto quelli il cui costo è modico e regolato, in cui regnano la decenza e la fraternità, sono atti a conservare ed a rinserrare i legami che uniscono i Massoni. Pertanto il Maestro Venerabile radunerà a banchetto i Fratelli quanto spesso le circostanze lo consentiranno... Le feste da celebrare nelle Logge riunite e rettificate sono i due S. Giovanni, d’estate e d’inverno, e la festa del rinnovamento dell’Ordine del sei novembre... Il giorno della festa di S. Giovanni d’inverno sarà principalmente consacrato ad atti di beneficenza... Lo stesso si deve osservare per la festa di S. Giovanni Battista... Ci sarà un discorso come per la festa di S. Giovanni d’inverno, e si faranno al banchetto tutti e sette i brindisi dell’Ordine...». Un rituale a stampa della “Loggia di Tavola” è finalmente contenuto nel Recueil précieux de la Maçonnerie adonhiramite, opera di Louis Guillemain de Saint-Victor (1786). Si è nell’ambito proprio del Grand-Orient de France e del Rito Francese o Moderno in questo praticato. Le prescrizioni anticipano un paradigma pressoché costante nei successivi documenti similari. «Poiché l’Istruzione della Loggia di Tavola fa parte dei misteri dell’Ordine, si deve tenere questa Loggia in un luogo altrettanto ben coperto della Sala delle Iniziazioni. Si allestirà una Tavola a forma di ferro di cavallo, abbastanza grande, se il luogo lo consente, perché tutti i convitati possano sedere lungo il lato esterno. Il Venerabile è sempre posto all’Oriente davanti al centro della Tavola, avendo l’Oratore alla propria destra: i Sorveglianti sono alle due estremità all’Occidente; i Maestri occupano il Mezzogiorno, avendo cura di cedere i posti più prossimi all’Oriente a tutti i Visitatori che si presentino; i nuovi Iniziati devono stare a Settentrione, di lato all’Oratore, ed i Compagni riempiono i posti rimanenti da questa parte... Tutto ciò che costituisce il servizio della Tavola deve formare tre linee parallele; vale a dire che i piatti formano la prima, le bottiglie ed i bicchieri la seconda, ed i vassoi di portata ed i lumi l’ultima». Seguono un glossario dei termini («i bicchieri sono chiamati cannoni», etc.), il rituale di apertura dei lavori, un’elencazione dei brindisi obbligatori ed i canti di chiusura, nonché il rituale di chiusura dei lavori. La elaborazione del suddetto rituale è pressoché contemporanea a quella del rituale, ben più autorevole per provenienza, redatto in forma manoscritta nel 1783 per uso delle Logge del Grand Orient de France e pubblicato a stampa nel 1801 nel contesto del Régulateur du Maçon ou les trois premiers grades et les quatre ordres supérieurs (A Hérédom. l’An de la G.·.L.·. 5801), che - con pochi adattamenti per quanto concerne la dedica del primo brindisi, imposti dalle circostanze politico-istituzionali - sarebbe stato preso a modello in tutta la massoneria francese o d’ispirazione francese fino ad oggi. Nell’ambito del primo Grande Oriente d’Italia (1805-1814) si fece riferimento ai rituali del Grande Oriente di Francia, anche per i banchetti o agapi. Del volume fa parte anche una dettagliata Instruction de la Loge de table, ou banquet, trascrizione pressoché integrale dal citato Régulateur, della quale si riportano alcuni brani più significativi: «Disposizione della Loggia di tavola. La sala in cui si fa il banchetto deve esser situata in modo che niente si possa vedere o sentire dal di fuori. La tavola, per quanto possibile, sarà a ferro di cavallo. Il posto del venerabile è al vertice, e quello dei sorveglianti alle estremità. Il fratello oratore si pone in testa alla colonna di meridione, ed il fratello segretario alla testa di quella di settentrione; l’oriente è occupato dai fratelli visitatori, o da ufficiali della loggia, qualora non vi siano visitatori. Eccettuati i cinque ufficiali appena menzionati, nessuno ha un posto distinto, tranne nel caso in cui vi fossero visitatori decorati di gradi superiori, e che l’oriente fosse occupato da essi. In tal caso gli altri visitatori verrebbero posti in testa alle colonne. Allorché ognuno abbia preso posto, sta alla volontà del venerabile di fare il primo brindisi prima di masticare, o di aspettare che si sia masticata la minestra, od in altro momento che egli ritenga opportuno. Quando vuole fare il primo brindisi, batte un colpo di maglietto; immediatamente i fratelli serventi escono dall’interno del ferro di cavallo, e si ritirano all’occidente. Tutti smettono di masticare. Il fratello maestro delle cerimonie, per solito, sta da solo all’interno del ferro di cavallo e di fronte al venerabile, per essere meglio in grado di ricevere i suoi ordini e di farli eseguire: talvolta trova posto in un tavolino tra i due sorveglianti .... Ciascun sorvegliante si assicura della qualità massonica di tutti gli individui che stanno sulle due colonne, scorrendo lo sguardo su di essi e riconoscendoli per massoni .... Il fratello copritore va a togliere la chiave della porta, che chiude; e da quel momento nessuno più entra od esce .... PRIMO BRINDISI. Il venerabile dice: Fratelli primo e secondo sorvegliante, invitate i fratelli dell’una e dell’altra colonna a prepararsi a caricare e ad allineare per il primo brindisi obbligatorio. I fratelli sorveglianti ripetono l’annuncio. Il venerabile dice: Carichiamo ed allineamo, fratelli miei. Ognuno si versa da bere nel modo che gli aggrada. (Se qualcuno, per regime o per preferenza, volesse bere acqua, nulla lo deve costringere a mutar d’abitudine). Man mano che ognuno si è versato da bere, pone il proprio cannone (il bicchiere) un poco a destra della tegola (piatto); in tal modo i cannoni si trovano allineati in un istante. Si allineano anche i barili e le stelle su di una seconda linea. Quando tutto è allineato sulla colonna del settentrione, il secondo sorvegliante ne dà avvertenza al primo, che dice al venerabile: Tutto è allineato sulle due colonne. Il venerabile dice: All’oriente è del pari. In piedi e all'ordine, spada in mano. Ci si alza; Il venerabile dice: Fratelli primo e secondo sorvegliante, vogliate annunciare, sulle vostre colonne, che il primo brindisi obbligatorio è quello per l’Imperatore e per la sua augusta famiglia; aggiungeremo al brindisi auguri per la prosperità dei suoi eserciti. È ad un brindisi così prezioso per noi che vi invito a fare il migliore fuoco possibile. Mi riservo il comando delle armi. ... Attenzione, fratelli miei. La mano destra alle armi. In alto le armi. Puntate. Fuoco. Buon fuoco. Il più vivo di tutti i fuochi. Uno, due, tre. Uno, due, tre. Uno, due, tre. In avanti. Uno, due, tre. Poi si applaude con la triplice batteria ed il triplice vivat. ...». Il secondo brindisi è «per il Gran Maestro, per il Rappresentante del Gran Maestro e per tutti gli ufficiali che compongono il G.·. O.·. di Francia»; il terzo, per «il venerabilissimo che dirige i lavori di questa rispettabile loggia»; il quarto, per «il primo ed il secondo sorvegliante»; il quinto, per «i fratelli visitatori»; il sesto, per «i fratelli ufficiali e membri della loggia»; il settimo ed ultimo, per «tutti i massoni sparsi sulla superficie della terra, tanto nella prosperità quanto nell’avversità». Si fa una catena d'unione. Dopo il brindisi, il Venerabile «intona il cantico di chiusura, di cui per solito si recitano soltanto le seguenti due strofe, e tutti i presenti fanno coro: Fratelli e compagni Della massoneria; senza tristezza godiamo dei piaceri della vita muniti di un rosso orlo, che per tre volte il segnale dei nostri bicchieri sia una prova che, d’accordo, beviamo ai nostri fratelli. Uniamoci mano nella mano,teniamoci saldi insieme; ringraziamo il destino per il nodo che ci raccoglie; ed assicuriamoci che non si faccia, su entrambi gli emisferi, brindisi alcuno più illustre di quello ai nostri fratelli». Gli Statuti Generali della Massoneria Scozzese, fonte di straordinaria importanza, tenuto conto della peculiare autorevolezza del testo e della sua ricorrente influenza nei successivi assetti normativi della massoneria in Italia, dedicano all’argomento un’intera sezione, e cioè gli art. 404-415 (pag. 115-120 dell’edizione originale del 1821), con il significativo titolo «Delle agapi, o banchetti», a testimonianza dell’equivalenza delle due dizioni anche nel lessico muratorio italiano. In considerazione dell’importanza e dell’autorevolezza del testo conviene dare trascrizione integrale di quasi tutti gli articoli, ed anzitutto dell’art. 404: «In tutte le officine massoniche, simboliche o capitolari, di rito scozzese o francese, si tengono in alcuni giorni dell’anno diverse agapi o banchetti di obbligazione. Nelle prime hanno luogo tre agapi ne’ giorni 24 del IV°. mese, 27 del X. mese, e nel giorno rispettivamente anniversario della loro fondazione. Nelle altre il numero ed i giorni delle agapi son fissati da’ correlativi rituali (cahiers). Tutti i membri presenti nell'oriente sono obbligati di parteciparvi o assistendovi personalmente, o soddisfacendone la quota stabilita». Ma, ritornando al banchetto o agape d’obbligo delle Logge simboliche, l’art. 405 degli Statuti napoletani prevede: «Sospesi, o chiusi i lavori del tempio, si passa alla sala delle agapi, ove le mense sono disposte in modo che formino un ferro di cavallo. Nel rito scozzese il ven.·. si colloca all’est nel punto centrale della parte convessa della mensa; i due soprav.·. all’ovest di faccia al ven.·. alla estremità del ferro di cavallo; i visitatori su’ fianchi del ven.·. ciascuno a misura del proprio grado; l’oratore ed il segretario sulla rispettiva colonna, ciascuno appresso a’ visitatori, come nel tempio; il maestro di cerimonie, il maestro di casa ed il copritore seggono ad una mensa separata posta all’ovest, dirimpetto al ven.·. fuori il ferro di cavallo; gli esperti sul centro de’ lati dalla parte concava; il 1° diacono dirimpetto al ven.·. anche dalla parte concava; il 2° sulla diritta del 1° soprav.·. e tutti gli altri FF.·. occuperanno presso a poco la stessa ubicazione come in L.·. così al di fuori come al di dentro del ferro di cavallo». Concludendo possiamo affermare che dal 1717 al 2005 la tradizione del banchetto si è mantenuta. Ogni tornata è seguita (obbligatoriamente nell’Emulation Ritual, Gran Loggia Regolare d’Italia, facoltativamente altrove) da un banchetto o “agape fraterna”. Nell’Emulation Ritual, il banchetto è rituale, vale a dire che la tavola è a ferro di cavallo, presieduta al centro dal Maestro Venerabile, mentre i due Sorveglianti stanno alle due finalità della U del tavolo. Si comincia con i “rendimenti di Grazie” recitati dal cappellano ed il pasto è inframmezzato da una serie di brindisi, i “brindisi ufficiali” al Presidente della Repubblica (in Inghilterra alla Regina), ai sovrani e capi di Stato che proteggono la Massoneria, al Gran Maestro), i “brindisi tradizionali” (alla Gran Loggia, al Gran Maestro Provinciale, se del caso al neo-iniziato di quella tornata il quale contraccambia, alle logge sorelle ed ai visitatori), poi agli “assenti giustificati”, ed infine “a tutti i Massoni poveri ed in difficoltà”. agape - Brindisi Nel Thuileur del Delaulnaye e dal Tuileur del Vuillaume è riportato l’Ordine per bere: «I Cannoni caricati ed allineati, a destra ed avanti al piatto. Bandiera sull’avambraccio sinistro. All’Ordine (di Apprendista). Seguono i Comandi, pressoché identici a quelli dettati dalla Instruction de la Loge de table e, finalmente, l’elenco dei brindisi obbligatori: «In ogni Banchetto Massonico, vi sono sette Brindisi obbligatori, e cioé: 1°, quello del Sovrano; quello del Gran Maestro dell’Ordine; 3°, quello del Venerabile della Loggia; 4°, quello dei due Sorveglianti; 5°, quello dei fratelli Visitatori; 6°, quello degli Ufficiali e dei Membri della Loggia; 7°, infine quello di tutti i Massoni sparsi sulla terra».Utili informazioni provengono anche dal secondo testo (il Tuileur del Vuillaume), che confermano quanto già illustrato dal Delaulnaye, aggiungendo però interessanti particolari. Si darà, pertanto, quasi integrale trascrizione del testo: «I banchetti si tengono quasi sempre in grado di apprendista, affinché tutti i massoni possano esservi ammessi. Deve esservi una sola tavola, disposta a ferro di cavallo; i fratelli si pongono al di fuori, eccettuati il maestro delle cerimonie ed i diaconi, che si pongono all’interno del ferro di cavallo, di fronte al venerabile. Il venerabile occupa il centro della tavola, avendo ai propri lati gli ufficiali, secondo il loro rango in loggia. Alle due estremità stanno i fratelli primo e secondo sorvegliante. La loggia in banchetto assume in particolare il titolo di officina, benché talvolta ci si serva pure di questa espressione per designare tutt’altro tipo di riunione di loggia. Come in loggia, tutto, nell'officina, è guidato e regolato dal venerabile, che fa pervenire gli ordini ai sorveglianti mediante i diaconi; è lui a comandare e ad ordinare i brindisi, eccettuato il suo che viene ordinato, previo permesso tuttavia, dal primo sorvegliante. Il venerabile delega talvolta, in segno di onore, il comando delle armi, nei brindisi, a qualche ufficiale o fratello. Tutto ciò che viene posto sulla tavola, deve essere ordinato su linee parallele; esistono officine in cui si spinge questo scrupolo fino a collocare cordoni colorati per segnare gli allineamenti. La prima linea, partendo dall’interno, è per i vassoi; la seconda è per le bottiglie; la terza è quella dei bicchieri; ed infine la quarta è quella dei piatti. Vi sono sette brindisi obbligatori... se ne omette l’elencazione, essendo la stessa già fornita dal Delaulnaye. Si intercalano, tra il sesto ed il settimo brindisi, tutti quelli che si ritiene opportuno aggiungere, come quello per i nuovi iniziati quando vi sia stata un’iniziazione lo stesso giorno, etc., atteso che il brindisi per tutti i Massoni deve essere “sparato” per ultimo. I fratelli serventi sono chiamati a partecipare a quest'ultimo e formano la catena d’unione con tutti gli altri fratelli. I tre primi brindisi, così come l’ultimo, “si sparano” in piedi». Segue poi la descrizione del modo di “sparare” i brindisi, che si omette, non rilevandosi peraltro differenze rispetto alla descrizione del Delaulnaye. Val la pena, però, di riportare le successive avvertenze: «È d’uso mettere l’officina in ricreazione durante l’intervallo tra ogni brindisi, e di lasciare ai FF.·. la libertà di parlare; ma al primo colpo di maglietto tutti devono fare il più assoluto silenzio, mettersi all'ordine di tavola e prestare attenzione a ciò che sta per essere ordinato. Ragon in materia di banchetto massonico, intercalate al puro e semplice plagio del Tuileur del Vuillaume, ebbe a rifarsi il Bacci, pressoché unico autore - ufficioso se non ufficiale - del Grande Oriente d’Italia nel cinquantennio 1870-1920, il quale nell’esposizione del banchetto massonico all’interno dello zibaldonico Libro del Massone italiano, esplicitamente si richiama al Cours philosophique ed alle notazioni ivi profuse. Di qui “dotte” divagazioni sui pasti sacri nelle iniziazioni e nelle civiltà antiche, con largo occhieggiamento a quella pretesa egizia, rivisitate come allegorie della “filosofia naturale” e dei movimenti astronomici: per conseguenza le date dei banchetti non sono quelle dei due San Giovanni, ma quelle dei solstizi d’estate e d’inverno; i brindisi dovrebbero esser dedicati alle divinità preposte ai sette giorni della settimana e non già alle figure tradizionali, etc. Sulla falsariga del Ragon, con o senza l’intermediazione del Bacci, si colloca un quarantennio più tardi l’esposizione del Farina., ove è dato leggere frasi di pura matrice ragoniana, come le seguenti: «Nelle antiche iniziazioni Massoniche i pasti avevano un carattere mistico, perché completavano le feste religiose istituite in onore dei sette pianeti, componenti essi soli tutto il sistema planetario allora conosciuto. Lo scopo apparente di tali festini era di onorare le sette divinità planetarie date all'adorazione del volgo; ma lo scopo reale, svelato ai soli iniziati, era di adorare il Dio unico, regolatore supremo dei diversi corpi celesti come dei destini dell'uomo... La disposizione della L.·. di agape ci offre l’immagine del cielo e delle principali fasi solari. Così il Ven.·., rappresentando il sole, occupa nel banchetto solstiziale d’estate il punto più alto e nel banchetto solstiziale d’inverno il punto più basso. I Sorveglianti, posti sulla linea equatoriale, segnano i due punti equinoziali che sorvegliano, per così dire, l’anno che finisce e quello che incomincia e gli altri Ufficiali sono ripartiti su dei punti corrispondenti ai segni dello zodiaco...». Giova ricordare che i rituali del Farina, dopo il ventennio seguito allo scioglimento coatto della Libera Muratoria in Italia ad opera del regime fascista (1925) ed alla ripresa delle attività massoniche tra il 1943 ed il 1945, assai più caotica ed improvvisata di quella del 1859, costituirono la principale fonte documentaria per i massoni italiani, compresi quelli del Grande Oriente d’Italia, i cui rituali a stampa per i tre gradi simbolici, anche dopo l’adozione (1969) del rituale unico auspicato fin dal 1896, non sono mai stati completati da quelli cosiddetti accessori (per il banchetto, per l’installazione del Maestro Venerabile neo-eletto, per la fondazione di Logge, per l’inaugurazione di templi, come pure per altre evenienze di minor momento tra cui le onoranze funebri, l’adozione dei figli di massoni, il riconoscimento coniugale, etc.). Tuttavia, per quanto concerne in particolare il Grande Oriente d’Italia, appare molto realistico accordare credito secondo cui «in antico erano obbligatorie tre agapi annuali...», nelle quali «il Venerabile sedeva al centro della Loggia, generalmente a ferro di cavallo...» ed «erano obbligatori sette brindisi...». Il disinteresse, o forse l’irresolutezza, del Grande Oriente d’Italia per l’elaborazione e per l’adozione di rituali ufficiali finalizzati alle suddette evenienze ha fatto sì che in materia fosse lasciato campo aperto ad ogni sorta di iniziative, vuoi ad ispirazione “tradizionale” - informate cioè al rispetto più o meno fedele di precedenti muratori italiani o stranieri vuoi a carattere per così dire “sperimentale”, ovverosia liberamente lasciati all’estro ed alle propensioni dei singoli o di Logge. Proprio su questo genus di rituali han fatto perno le pretestuose accuse della Gran Loggia Unita d’Inghilterra, cui si faceva cenno all’inizio. In tempi più recenti ha, in effetti, incontrato discreta fortuna un genus di rituale per agape che, su un impianto più o meno corretto per quanto concerne l’apertura e la chiusura dei lavori, la disposizione della tavola e dei partecipanti, il numero e la dedica dei brindisi, ha però in cospicua misura innovato per l’aggiunta di elementi simbolici totalmente estranei alla tradizione rituale dei primi tre gradi praticati nell’ambito del Grande Oriente d’Italia e, relativamente ad elementi aggiuntivi ma non secondari, estranei anche ai diversi sistemi “ad Alti Gradi” conosciuti e praticati in Italia. Un primo punto di alterazione, rispetto alla tradizione, è costituito dalla frequente collocazione del 2° Sorvegliante a metà circa della parte di tavola corrispondente alla colonna del meridione. Siffatta ubicazione, benché coincidente con quella attribuita al 2° Sorvegliante nel Tempio, contrasta immotivatamente con la tradizione muratoria di qualunque Rito in materia di “Loggia di tavola”, inclusa quella «scozzese» comprovata dagli Statuti Generali napoletani del 1821 e dagli stessi Tuileurs del Delaulnaye e del Vuillaume. Un secondo e più importante punto di alterazione, anch’esso immotivato, consiste nello scostamento dalla sequenza tradizionale dei brindisi, di frequente variata per omissione di alcuno di essi ovvero per introduzione di dediche diverse da quelle tradizionalmente seguite. La maggiore alterazione delle forme e dei contenuti tradizionali, però, concerne l’introduzione di un simbolismo a preteso sfondo ermetico-alchemico poggiante soprattutto sulla dottrina degli elementi (terra - acqua - aria - fuoco) in connessione con la natura degli alimenti (cibi e bevande) consumati nel corso dell’agape. Agli alimenti, infatti, si vuole attribuire in quest’ottica una natura rigidamente analogica ai quattro elementi ed a questo scopo si è diffusa l’usanza di circoscrivere gli alimenti stessi ad una ristretta elencazione (pane azzimo, olive, frutta secca, etc.) in qualche modo rispondente al sistema simbolico siffattamente prescelto, nonché all’uovo in relazione ai noti sviluppi simbolico-analogici. Particolare pressoché ubiquitario in questo canovaccio rituale alternativo, non uniforme perché spesso variabile da Loggia a Loggia, è la somministrazione del pane e del vino, come pure dell’agnello arrosto. Sulla base dell’esposizione fin qui condotta, è facile riconoscere, quale comun denominatore delle illustrate “innovazioni”, la sostanziale trasposizione al primo dei gradi simbolici, ossia al grado di Apprendista nel quale l’agape rituale si svolge, di entrambe le “cene mistiche” (quella ordinaria con il pane ed il vino, e l’altra del giovedì santo con l’agnello arrosto) del 18° grado del Rito Scozzese Antico ed Accettato, con le ulteriori aggiunte ispirate alla simbolica degli elementi ed alla trasmutazione del cibo “materiale” in cibo “spirituale” che trovano esplicazione anche verbale in questa sorta di rituali “alternativi”. Sedimentazione di siffatte “innovazioni” (o spunto per esse?) è possibile rinvenire persino in una pubblicazione ciclostilata a carattere semiufficiale ove, assente ogni riferimento alle figure dei due S. Giovanni ma, per contro, con valorizzazione dei due equinozi oltre che dei due solstizi (siamo ben al di là del Ragon!), premesso che i «i Fratelli consumano i cibi e le bevande rituali nel più assoluto silenzio mentre il Fr. Lettore ? e il Fr. Organista ? provvedono a fornire gli opportuni supporti auditivi che nutrano, contemporaneamente al fisico, il piano animico e quello spirituale», viene affermato che «per i cibi e le bevande è la Tradizione ebraica, i cui apporti sono stati cospicui fin dalla nascita storica della nostra Istituzione nel 1717, a fornircene l’elenco affine a quello utilizzato nella “Pesach”, la Pasqua, che segna per Israele (lo spirito) la fine della cattività in Egitto (la materia)». E di qui un’elencazione di alimenti con i relativi significati simbolici: il pane azzimo («il seme di grano... è legato all’Iniziazione solare»), il sale («il sale marino è un cristallo di forma perfettamente cubica»), l’uovo sodo («ci richiama gli elementi Terra, Aria, Acqua e Fuoco»), le olive («i frutti... che forniscono l’olio che alimenta il “fuoco perenne” dei santuari»), l’agnello («legato all’Ariete ... che è il primo dei segni zodiacali»), le verdure («analogicamente legate al lavoro di “Purgazione” e “Purificazione” indispensabili prima dell'operatività» .), la frutta fresca e secca («per simboleggiare la delizia del lavoro compiuto»), il vino («rosso, come il sangue», «con il suo simbolismo legato alla “vigna” da coltivare»), l’acqua («che, al pari della cazzuola del M. Ven. ? (88)., serve ad amalgamare il tutto»). Si versa, con tutta evidenza, nel puro solco ragoniano del raffazzonamento di ogni e qualsivoglia simbolismo.Varie obiezioni si possono muovere alle nuove costumanze sopra esemplificate ed a quelle similari. In primo luogo, appare molto dubbio che nella pratica della tradizione ermetico-alchemica, essenzialmente individuale ed aliena da momenti associativi o comunque collettivi, abbiano mai trovato spazio cerimonie o atti rituali come quelli propri di una Loggia muratoria, dovendosi rilevare peraltro che nella pur vastissima ed eterogenea letteratura ermetico-alchemica non sussiste alcun riferimento a pratiche analoghe. In secondo luogo, va debitamente rilevata la sostanziale estraneità dei simbolismi così chiamati in causa a quello muratorio, la cui simbolica è nella sostanza ancorata alla tematica della costruzione ed ai suoi addentellati biblici, incentrati sulla edificazione del Tempio e sulla cornice salomonico-hiramitica, peraltro introdotta nel terzo grado ma più ampiamente ripresa e sviluppata nella Massoneria degli “Alti Gradi”, segnatamente - ma non soltanto - in quella del Rito Scozzese Antico ed Accettato. È vero, altresì, che nella simbolica del Gabinetto di Riflessione, e cioé con riferimento al primo grado muratorio, vi è una notevole illustrazione di simboli ermetico-alchemici, ma è altrettanto vero che codesta illustrazione, limitata ad una piccola area della Massoneria universale, non trova ulteriori sviluppi nell’ambito dei gradi di Apprendista, di Compagno d’Arte e di Maestro. L’introduzione dei cennati ulteriori elementi nell’agape di primo grado costituisce, quindi, una notevole ed impressionante commistione. In terzo luogo, se da un lato va avvertita una indebita forzatura nell’introduzione di elementi, in gran parte propri del 18° grado del Rito Scozzese Antico ed Accettato, in un atto rituale che si svolge nel primo dei gradi simbolici, dall’altro non si può fare a meno di constatare che alla stessa forzatura soggiace, in negativo, lo stesso 18° grado del Rito Scozzese Antico ed Accettato la cui simbolica, che assume significato e senso ben definiti nella cornice anch’essa ben definita ed elitaria del grado stesso, viene ad essere inopportunamente ed immotivatamente svilita a seguito del trasferimento in un ambito retto da coordinate simboliche e rituali diverse, talché, riconsiderando la situazione nell’ottica propria del Rito Scozzese Antico ed Accettato, non sembra fuori luogo evocare in termini espliciti la nozione di profanazione. In quarto luogo, risulta evidente che il fatto stesso del travaso di elementi rituali da un “Alto Grado” al primo dei gradi simbolici costituisce di per sé una patente violazione al principio di netta separazione tra Ordine massonico e sistemi rituali “ad Alti Gradi” che, accettato e fatto proprio dal Grande Oriente d’Italia molto tardivamente (1922) e riaffermato nel periodo post-fascista, ha stentato con tutta evidenza ad esser recepito da taluno. Eppure si tratta di un principio strettamente connesso con quello di “regolarità”, che esige l’autonomia assoluta dei tre gradi simbolici, governati dalle Grandi Logge, rispetto a qualunque sistema ad “alti gradi”: autonomia non soltanto formale, ma anche sostanziale, non potendo in ogni caso sussister dubbi sul fatto che la materia dei rituali, nucleo essenziale della tradizione muratoria, è al tempo stesso pertinente alla forma ed alla sostanza della Libera Muratoria, talché contaminationes che vedano elementi rituali propri di uno dei tre gradi simbolici essere accantonati od alterati da altri, provenienti da un qualunque sistema “ad alti gradi”, violano in modo palese il principio in discussione. Ma, prima ancora che agli espressi rilievi, va accordata una prevalente ed assorbente pregnanza ad un’altra osservazione, che attiene all’esigenza, fondamentale e non suscettibile di mediazioni o di deroghe in un ordine iniziatico tradizionale quale la Libera Muratoria intende essere o tornare ad essere, di conservare o di ripristinare le forme ed i contenuti tradizionali, preservandoli in modo intransigente da qualsivoglia “innovazione”, per quanto “bene” ispirata o intenzionata, che invariabilmente costituisce una sovrapposizione di forme e di contenuti “altri”, iniziatici o para-iniziatici, comunque eterogenei rispetto alla via iniziatica muratoria e destinati a stravolgerne e/o a snaturarne la fisionomia peculiare in un divenire eclettico e mutevole, nel quale magari la Libera Muratoria potrebbe assumere le sembianze di un caleidoscopio di molteplici vie iniziatiche, ma di nessuna in particolare e, perciò, nemmeno di quella autenticamente ed originalmente muratoria.Il meccanismo che emerge in questo tipo di operazioni, volte a mutare ed a reinterpretare i rituali muratori, è pur sempre quello della “sostituzione” di materiali e di contenuti tradizionali con altri, prelevati da diversa tradizione o peggio presi in prestito più o meno alla rinfusa da disparati “esoterismi” o forme cultuali, portando all’inevitabile risultato di una Libera Muratoria alterata, contraffatta, in ultima analisi trasformata in altro da sé: una Massoneria così manipolata finisce per essere una “via sostituita”. Agape - Simbolismo La considerazione principale è che qui non si tratta di conformare la consumazione di un pasto collettivo ad un qualunque paradigma formale, purché rispondente a connotati iniziatici e costruito su elementi significanti a contenuto simbolico. Il conferimento di contenuti simbolici a sfondo sacrale e talvolta schiettamente iniziatico, infatti, è fenomeno pressoché generalizzato in tutte le epoche ed in tutte le civiltà, nelle quali il “pasto sacro” trova frequentissima anche se estremamente varia collocazione. Per limitarsi all’area mediterranea, si dispone di molteplici e persuasive testimonianze circa l’esistenza di momenti ritualizzati e sacralizzati di pasti collettivi in contesti a carattere iniziatico, quali quelli orfico, pitagorico e mithraico; a livello delle stesse grandi religioni monoteistiche - la giudaica e la cristiana - che hanno maggiormente ispirato l’attuale civiltà occidentale, non mancano esempi di rilievo, come i banchetti pasquali e, sotto alcuni profili, la stessa celebrazione della messa, provveduti di elevatissima ispirazione simbolica ed indubbiamente coessenziali ad una rigorosa visione del sacro. Il problema della ritualizzazione del pasto in comune tra i Liberi Muratori non può, quindi, essere analizzato al di fuori di una precisa ricostruzione delle coordinate storiche, simboliche e finalistiche proprie del fenomeno in discussione, quali si sono andate precisando in una società iniziatica legata, dapprima in forma cosiddetta operativa ed in seguito meramente “speculativa”, alle caratteristiche di un preciso mestiere, quello dello scalpellino o tagliapietre ovvero, più estensivamente, all’arte della costruzione. Infatti, un’abbondantissima documentazione, che risale almeno al XVII secolo per quanto concerne l’Inghilterra e la Scozia, e via via più ricca a partire dal XVIII secolo fino all’epoca attuale, alla quale si è fatto sopra un molto riduttivo riferimento, dimostra l’antichità della consuetudine di praticare il pasto collettivo quale momento abituale di ogni riunione o tornata di Loggia, il più delle volte a conclusione dei lavori rituali ma non di rado, almeno nel XVIII secolo, durante i lavori medesimi. L’unico aspetto rituale o, per così dire, codificato non riguardava e non ha mai riguardato gli alimenti solidi del pasto, bensì il numero, la dedica e la forma dei brindisi. Si è visto, peraltro, che il numero dei brindisi cosiddetti obbligatori fin dalla fine del XVIII secolo nella Massoneria inglese ed in quella francese si è cristallizzato in sette e che le dediche si sono anch’esse definite sia nella individuazione dei destinatari sia nel loro ordine (al Capo dello Stato, al Gran Maestro, al Venerabile, ai Sorveglianti, ai membri della Loggia, ai Visitatori, a tutti i Liberi Muratori). Circa la forma del brindisi, almeno dal XVIII secolo si è generalmente instaurata una pittoresca ma in verità abbastanza semplice procedura che, facendo uso di una nomenclatura in parte muratoria ed in parte castrense, abbina l’elevazione dei calici all’idea della materializzazione del fuoco-luce, del calore, sullo sfondo dell’insistita reiterazione del numero tre. È verosimile che il gergo castrense costituisca una sovrapposizione intesa a conferire un carattere cavalleresco all’organizzazione libero-muratoria, coerentemente con il movimento che, presto avrebbe portato alla fioritura degli innumerevoli riti “ad alti gradi” nel corso della seconda metà del XVIII secolo. Nondimeno esso appare suggestivamente allusivo all’idea del “tuono” e del suo simbolismo, connesso in modo diretto alla figura di San Giovanni Evangelista, come pure al simbolo della “folgore” nel quadro dell’esperienza iniziatica. Sotto il profilo simbolico, si può ancora far rilevare che la disposizione della Loggia di Tavola, quale risulta da tutte le fonti esaminate, riproduce approssimativamente una semicirconferenza prolungata alle due estremità da rette parallele, da ricollegare al fatto che i due Solstizi dividono il ciclo dell’anno in due parti eguali, mentre la loggia dei lavori muratori ha la forma di un quadrato doppio: la prima (Loggia di Tavola) sarebbe una rappresentazione del Paradiso Terrestre e la seconda (Loggia di Lavoro) costituirebbe un’anticipazione della Gerusalemme Celeste. Questo pasto è pervaso, nella massima spontaneità e schiettezza, dei sentimenti di amicizia e di solidarietà che, attraverso ben noti collegamenti simbolici e semantici, evocano i concetti di Amore e di Fraternità, pietre elementari ed essenziali dell’edificio iniziatico dell’Ordine, cardini e fili conduttori, intrecciati in una significativa catena, della sua stessa esistenza. Lo stesso nome di Agape (dall’identica parola greca, che vuol dire amore), in italiano sta a significare convito fraterno, convito intimo tra amici, affetto od amore. Voler complicare questi significati, mediante aggiunte o modifiche per quanto suggestive e “profonde”, comporterebbe il rischio di snaturarli e di far perdere loro l'immediatezza e la genuinità della originaria espressione. Ed ancora, il pasto in comune è un completamento dei lavori rituali propriamente detti, che sono quelli fissati e scanditi dal rituale del primo grado muratorio. In nessun caso esso può divenire un “lavoro” a se stante, svincolato dalla subordinazione logica, cronologica e simbolica ai lavori rituali in grado di Apprendista. La tradizione muratoria in definitiva e se è concesso l’impiego di un pizzico di ironia, non è una nozione completamente elastica ed opinabile, e cioè suscettibile di interpretazioni infinite e pretesto od occasione per infinite invenzioni, giacché è attestata da documenti scritti autorevoli e molteplici, ai quali occorre fare ricorso quando se ne ignorino, per difetto di tradizione orale, le caratteristiche e la fisionomia. Quel che desta notevoli perplessità, a meno di non perseguire lo scopo (o di consentire passivamente a che tale scopo venga conseguito) di trasformare la libera muratoria in “altro” ed in “diverso”, è la continua improvvisazione o reinvenzione dell’Ordine massonico secondo i gusti e le predilezioni individuali, per quanto elevatissimi questi siano e magari corrispondenti a non plus ultra della scienza esoterica. Lavoro prodotto dal Fr. D . F . della Loggia Lorenzo il Magnifico – Fiorenza n. 52
Cari Fratelli, Firenze, 1Dicembre 2006 quando il Maestro Venerabile mi ha assegnato l’incarico di redigere una tavola sul “QUADRATO MAGICO”, mi sono chiesto se dovevo comprare la Settimana Enigmistica o qualcosa di simile perché la mia cultura, su questo tipo di argomenti, è arrivata al Sudoku, gioco senz’altro magico, con il quale, non mi sono mai cimentato per una personale diffidenza con giochino matematici troppo “intelligenti”. Il Venerabile mi ha promesso un libro che mi avrebbe chiarito le idee sull’argomento, un libro uscito da poco e scritto da Rino Cammilleri su uno specifica e particolare Quadrato magico, il Quadrato magico di Pompei, il “famoso” Rotas Opera Tenet o Sator Arepo Tenet come lo si voglia chiamare. Nell’attesa che mi arrivasse il libro, sono andato su quella miniera di informazioni spesso poco gestibile che è Internet è li ho trovato un po’ di tutto sul tema dei Quadrati magici, scoprendo un argomento di grande interesse, che ha attraversato tutti i secoli della ns. storia, da quando l’uomo ha cominciato a contare sulla punta delle dita e a giocare con i numeri e la numerologia. Prima domanda: Che cosa è un Quadrato magico?? Un quadrato magico è una matrice quadrata di numeri che possiede una proprietà che potrebbe sembrare sorprendente. Infatti un quadrato magico, di n caselle per lato(proprio come un cruciverba quadrato) , contiene i primi numeri naturali positivi da 1 ad n2, disposti in modo tale che la somma dei numeri su ogni riga, su ogni colonna e su ognuna delle due diagonali è sempre la stessa. Tale intero, risultante della somma, è denominato la “costante di magia” o” costante magica” o” somma magica” del quadrato. Vedi Slide n° 2 Senza entrare nel merito “matematico” dell’argomento, suggerisco a tutti quelli di voi che vogliono capire come si costruisce un quadrato magico numerico, di andare a vedere l’esempio riportato su Wikipedia al seguente indirizzo: http://it.wikipedia.org/wiki/Quadrato_magico#Esempi_di_costruzione Un quadrato magico si dice bimagico, o doppiamente magico, se rimane magico anche dopo aver sostituito i suoi elementi con i rispettivi quadrati; analogamente si dice trimagico se rimane magico dopo averne sostituito gli elementi con i rispettivi cubi. Non è il caso di addentrarsi qui sugli aspetti e sulle regole “matematiche”di questi quadrati ma se avete un pò di tempo leggete qualcosa sull’argomento e ancora una volta, avrete la conferma che spesso, l’uomo crea cose di cui poi non riesce a comprenderne fino in fondo i meccanismi e le regole. I quadrati magici erano noti già in Cina nei primi secoli dopo Cristo, e forse addirittura nel IV secolo A.C.; nel X secolo i cinesi conoscevano quadrati fino all'ordine 10, oltre a catene di cerchi e cubi magici non perfetti. Vedi Slide 3 Un potentissimo quadrato magico di 3000 anni fa Il Lo Shu Il Lo Shu Se disponiamo i numeri in una griglia di 3*3 caselle, otteniamo il più antico quadrato magico di cui si abbia notizia. Risale probabilmente al III millennio a.C. ed è noto col nome di Lo Shu che significa "lo scritto del fiume Lo". Secondo la leggenda fu copiato dall'imperatore cinese Yu dal disegno che vide sul dorso di una tartaruga sacra trovata nel Lo, un affluente del Fiume Giallo. Per gli antichi Cinesi il Lo Shu era molto di più che un esercizio di aritmetica. Era un simbolo potentissimo di cui si diceva: "E' questo ciò che compie le alterazioni e le trasformazioni e mette in moto demoni e dèi". Questo giusto per sottolineare come questi quadrati magici non fossero ritenuti un puro e semplice gioco o stranezza matematica ma gli venivano attribuiti dei veri e propri poteri taumaturgici o cabalistici Queste strutture giunsero in Europa relativamente tardi: il bizantino Manuel Moschopulos (circa 1265 – 1316) fu tra i primi a scrivere su di essi. Uno dei primi matematici ad approfondire l'argomento fu Cornelio Agrippa (1486 – 1535), il quale, nella sua opera DE OCCULTA PHILOSOPHIA SIVE DE MAGIA, li definì: "tavole sacre dei pianeti e dotate di grandi virtù, poiché rappresentano la ragione divina, o forma dei numeri celesti" Questa opera non parlava d’altro che dei quadrati magici numerici, realizzati con i 7 numeri, dal 3 al 9, che sono analogicamente legati ai 7 pianeti del sistema solare visibili ad occhio nudo (L’ordine dei quadrati, cioè il n° di righe e colonne, connetteva strettamente il quadrato al Pianeta che occupava tale posizione,3°, 4°, 5° e cosi via…) ad esempio il quadrato del 3 è relativo a Saturno, il 4 a Giove, il 6 al Sole e cosi via. Questi quadrati magici si supponevano dotati di particolari virtù magiche ed erano utilizzati per costruire dei talismani: ad es. le loro incisioni su placche d'oro o d'argento venivano impiegate come rimedi a molti i tipi di mali, dalla peste al mal d'amore. Uno tra più noti quadrati magici è sicuramente quello che compare nell'incisione di Albrecht Dürer intitolata Melancholia I. (Malinconia) (è un quadrato di ordine 4, il quadrato di Giove che esprimeva “giovialità” ma il Durer, trascrivendo i numeri al contrario, ottenne appunto il contrario di GIOVIALITA’ossia la Melancholia) Vedi Slide 4 Frenicle de Bessy (1605-1665), matematico francese amico di Cartesio e di Pierre de Fermat, nel 1663 calcolò il numero dei quadrati magici perfetti del quarto ordine: 880, con somma costante 34, su righe, colonne e diagonali. Solo grazie al computer si riuscì ad estendere il risultato, nel 1973, agli ordini superiori: i quadrati magici di ordine 5 sono 275.305.224. Non è noto il numero preciso dei quadrati magici di ordine 6, anche se molti sono impegnati nella sua determinazione. Secondo alcune indagini, il loro numero è nell'ordine di 1.7754 × 1019. Resta comunque insoluto il problema più generale di trovare la regola che permetta di determinare il numero di quadrati magici di ordine n. Parente stretto del quadrato è il cubo magico, costruito in Europa per la prima volta solo nel 1866. Il primo cubo perfetto, di ordine 7 e quindi contenente i primi 73 = 343 interi positivi fu ottenuto da un missionario appassionato di matematica. In seguito si estese la ricerca a ipercubi di dimensione m ed ordine n, ognuno composto da nm numeri interi. Ma il Quadrato di cui cercherò di parlavi questa sera, pur appartenendo alla categoria dei quadrati magici , non è un quadrato numerico ma un quadrato magico alfabetico di ordine 5 (se fosse numerico, sarebbe legato dunque al pianeta Marte secondo la filosofia antica, contenente i numeri da 1 a 25, con costante magica 65 e sarebbe un potente amuleto, se inciso su ferro, per diventare invincibile, su rame per far danno ai nemici e cosi via…) Dico “Cercherò”, perchè la quantità, la dimensione e la complessità delle possibili interpretazioni di questo QUADRATO sono tali, che veramente difficile è cercare di ricondurle in poche pagine dando un ordine o una priorità di qualsiasi tipo. Lo stesso volume che ho letto sull’ argomento, il libro di Cammilleri IL QUADRATO MAGICO, non è esaustivo, nei confronti di altre interpretazioni o meglio, attribuzioni, che ho trovato su internet ma non voglio anticipare niente. L’argomento oggetto di stasera dunque è’ il famoso quadrato Sator Arepo Tenet Opera Rotas oppure Rotas Opera Tenet Arepo Sator…… (Vedi Slide5) . Do queste due versioni perché, lo si è trovato riportato in entrambe le versioni: nei ritrovamenti più antichi, il Quadrato inizia sempre con la parola ROTAS mentre, dal Medio Evo in poi, appare prima la parola SATOR (e trovarci una motivazione che non sia dovuta alla casualità o alla indifferenza del senso di lettura è veramente impossibile) Noterete che la frase è perfettamente palindroma, vedi slide 6 cioè può indifferentemente essere letta iniziando da una parte o dall’altra e, nella disposizione a QUADRATO (Vedi Slide 7) oltre che da destra a sinistra, mantiene lo stesso significato dal basso verso l’alto o viceversa ma, contrariamente ai quadrati magici numerici di cui ho parlato all’inizio, non può essere letto in diagonale. A mio modesto ed umilissimo parere però, qualche concessione alla limitazione “alfabetica” probabilmente anche l’ignoto autore, avrà dovuto pur farla e mi sembra già di una difficoltà enorme realizzare un Quadrato alfabetico come questo. Nel passato, abbiamo altri esempi di quadrati magici alfabetici (VEDI SLIDE 8) ai quali però, può essere attribuita una natura più semplice di tipo quasi di gioco“enigmistico” mentre il nostro Quadrato ROTAS o SATOR ha una specifica peculiarità: è diffuso in molti paesi europei ed extraeuropei, ed ha attraversato, silenziosamente, tutte le epoche, dal suo più lontano ritrovamento fino ad oggi. Peraltro, niente è dato sapere con certezza sulla sua origine e ancor di più, sul suo significato originale, sul significato che il suo o i suoi creatori intendevano attribuirgli. Infatti, quando s’incontra un reperto archeologico il cui significato è controverso, di solito si fa riferimento al luogo dove esso è stato rinvenuto per ricostruirne il senso, una datazione certa e, di conseguenza, la sua destinazione d’uso. Quando poi il reperto è un’iscrizione, come in questo caso, le cui parole sono quasi tutte di facile traduzione e che contiene inoltre all’interno un chiaro gioco enigmistico, comprenderne il legame certo con l’edificio su cui è stato rinvenuto diventa essenziale. Se il testo, ad esempio, è presente all’interno di una chiesa è probabile che sia legato a qualche forma di culto coevo alla costruzione della chiesa stessa con tutte le conseguenze filologiche del caso. Per il quadrato magico del Sator nessuna di queste metodologie è stata fino ad ora possibile. E’ conosciuto nell’Egitto del IV e del V secolo d.C., nella Cappadocia del IX secolo d.C. e in Mesopotamia (a Dura Europos fu trovato in ben cinque occasioni). E’ presente in un manoscritto latino dell’882 conservato presso la Biblioteca Nazionale Francese; Paracelso la considerava un talismano erotico; Girolamo Giordano nel suo De rerum variegate un rimedio contro la rabbia, e, infine per taluni, sembra contenere dotti riferimenti alla Apocalisse di San Giovanni come poi avrò modo di mostrarvi. Tale è la molteplicità dei luoghi e dei testi in cui ritorna il quadrato magico del Sator, che la sua interpretazione appare un vero rompicapo per archeologi, filologi e paleografi di tutto il mondo. 2. Il quadrato magico del Sator in Italia Vedi Slide 9 In Italia numerosissimi sono i ritrovamenti e tutti sconcertanti. Da nord a sud lo si può ammirare: ad Aosta nel duomo di Sant’Orsa; in Alto Adige, a Bolzano, presso Castel Meraccio; in Lombardia, nella pieve di San Giovanni in provincia di Cremona; in Veneto, ad Arcé (provincia di Verona) nella chiesa di San Michele; nelle Marche, a Fabriano (Ancona) nella chiesa di Santa Maria in Plebis Flexiae. Uno degli esempi più belli, e come vedremo significativi, si trova nel duomo di Santa Maria Assunta a Siena sul lato sinistro vicino alla porta della canonica: lì è presente la piccola formella del Sator. Sempre in Toscana, ricompare nella pieve di San Giovanni a Campiglia Marittima (Livorno), e nel Lazio nella bellissima abbazia cistercense di Valvisciolo (Latina) – già ricca di per sé di misteri e leggende – e a Roma nella basilica di Santa Maria Maggiore. [1][1] E poi molti altri esempi in Abruzzo e nel Molise. Abbazia di Valvisciolo Ma il più sorprendente dei ritrovamenti fu quello compiuto dall’insigne paleografo Matteo Della Corte nel 1936 che rintracciò il Sator sotto forma di graffito nella scanalatura di una colonna della Grande Palestra accanto all’Anfiteatro di Pompei. Vedi slide10 Questo fatto, ha consentito di datare il Quadrato in un periodo quasi sicuramente antecedente al 79 D.C. perché in tale data vi è stata la famosa eruzione che distrusse e ricoprì Pompei e difficilmente potrebbe essere stato tracciato in epoca successiva come peraltro qualche studioso vorrebbe far pensare. E’ da qui, da quello che ad oggi sembra essere il ritrovamento più antico del Quadrato Rotas-Sator, che inizierò ad elencarvi alcune, ripeto, solo alcune delle interpretazioni che si è tentato di dare al Quadrato, ma soprattutto, cercherò di darvi degli spunti per domande che è lecito porsi e alle quali poi ognuno di Voi può cercare di dare una risposta o meglio una interpretazione. Prima di tutto, occorre dare una collocazione temporale ed è bene precisare che tutti i vari ritrovamenti del Sator sono da ricondurre ad epoca cristiana o “paleocristiana” come nel caso di Pompei ma il dibattito se l’origine del Quadrato sia cristiana o pagana o sia semplicemente un gioco enigmistico, è tuttora aperto ed è ovvio, che le moltissime ipotesi espresse sul significato delle parole del Quadrato, venissero influenzate da una visione PAGANA o CRISTIANA dello stesso. In questo senso varie congetture sono state formulate per risolvere l'enigma del quadrato del Sator fino a quando 2 studiosi(Felix Grosser e Sigurd Agrell, fra il 1925 e il 1926, indipendentemente l’uno dall’altro, ragionando per ANAGRAMMI, giunsero alla medesima soluzione: le lettere del quadrato sono in tutto 25: 4A, 4E, 4O 4R, 4T, 2P, 2S e 1N che, anagrammate e incrociate appunto sulla unica N danno questa soluzione: VEDI SLIDE 11 In cui le parole PATERNOSTER (l’unica preghiera insegnata direttamente da Gesù Cristo) si incrociano sulla unica N formando una croce a bracci uguali con a fianco due A e due O simbolo mistico dell’Alfa/Omega, chiara citazione dell’Apocalisse di San Giovanni: “ Io sono l’Alfa e l’Omega, l’inizio e la fine, colui che è, che è stato e che sarà” (Apocalisse, 1-8, 21-6 e 22-13). Si tratterebbe quindi, secondo questa ipotesi, di un simbolo di origine cristiana e non pagana, probabilmente una CRUCES DISSIMULATAE utilizzata dai primi cristiani per riconoscersi durante i periodi delle persecuzioni e questa tesi venne in gran parte accettata ma….. quando 10 anni dopo venne scoperto il Quadrato di Pompei, che consenti di retrodatare il Quadrato a prima del 79 d.c, si ebbero ad un tempo conferme dell’interpretazione Gosser-Agrell ma anche nuovi importanti e leciti dubbi che aprivano nuovi interrogativi cui dover cercare risposta: - il quadrato di Pompei, (rivedi slide 11) ha oltre alle lettere Sator ecc. in alto un TRIANGOLO (che rappresenta notoriamente un simbolo divino) e in basso le lettere A N O che riportano all’ALFA-OMEGA – PRINCIPIO-FINE dell’Apocalisse di San Giovanni, che, con al centro la N (che nell’alfabeto greco occupa la posizione mediana) rappresenterebbe il TUTTO, confermerebbe la tesi Gosser/Agrell . (ANO inoltre significa Anello, simbolo divino) - la datazione però anteriore al 79 Dc. Costringerebbe a rifiutare l’ipotesi cristiana, sia perché l’Apocalisse di San Giovanni è stata scritta dopo l’84 D.C. e dunque i riferimenti non potevano essere conosciuti, sia perché non si avevano tracce o notizie attendibili di presenza cristiana a Pompei in tempi cosi “vicini” all’inizio della storia cristiana stessa. Resta comunque un fatto importante e incontestabile: la probabilità che un ignoto, creando un quadrato letterale palindromo, abbia CASUALMENTE utilizzato lettere che anagrammate diano le parole PATER NOSTER posizionate a CROCE, incentrate sulla unica N, sono state calcolate nell’ordine di 1 su 10 elevato alla 22ma potenza, cioè praticamente impossibile. Vi do il dettaglio sul significato attribuito ad ogni parola del Quadrato: vedi slide 12 Arepo: questa parola è al primo posto perché è quella più controversa, di cui non esistono riferimenti certi anzi, in molti hanno visto in Arepo un NOME PROPRIO riferito al SATOR (IL SEMINATORE) ma nell’antichità di tale nome non c’è alcuna traccia, né per uomini né per animali o cose. Molte le ipotesi formulate e non voglio tediarvi elencandole tutte ma solo la più importante, citata dall’Enciclopedia Britannica, secondo la quale, Arepo sarebbe una contrazione per indicare l'Areopago, la collina di Marte (Ares) ad Atene, dove il tribunale supremo dell'Areopago teneva le sue sedute. (ricordate? Quadrato di ordine 5 Marziano….) il Significato potrebbe essere quindi… Il seminatore dell'Aeropago detiene le ruote dell'Opera"….UN SENSO COMPIUTO A QUESTA FRASE??? Rotas: qui nessun dubbi: RUOTE ma ruote di che cosa?? Dell’aratro?? (altro Arepo parola di origine celtica ma che ci fa in una frase latina??) del carro?? Opera: i più concordano su: le opere, altri “la fatica” che” tiene le ruote” Sator: le diverse interpretazioni concordano su: IL SEMINATORE (avalla la teoria “cristiana” perché Cristo nei Vangeli, applica a se la parabola del seminatore) Tenet: anche qui nessun dubbio: Tiene o Mantiene, Sostiene. Quasi tutti d’accordo su questo. Più divergenze sull’interpretazione delle centralità della parola nel quadrato. Quella N perno di tutto, della CROCE che sembra reggere il tutto, punto di incontro degli OPPOSTI. Su queste e altre bas,i sono state formulate “paginate” di ipotesi, lo stesso libro di Cammilleri ne riporta ben 3 pagine, ne cito solo alcune: vedi slide 13 Ú Il Seminatore Tiene l’aratro, le opere, le ruote Ú Il seminatore Arepo guida con fatica l’aratro Ú Giove nei campi tiene in suo potere le ruote Ú Il Salvatore trattiene con fatica le ruote Ú Il Padre benevolo regge con fatica i rivolgimenti dannosi delle ruote del destino Ú Ecc. ecc. ecc. Alcune curiosità: vedi slide 14 - notate che ogni T (lettera Tau, simbolo della Croce) nel quadrato è compresa fra una A (Alfa) e una O (Omega) - il quadrato contiene le lettere sacre I (la tenet Verticale) H (Rotas Sator congiunte dalla tenet orizzontale) - contiene una TAU espressa da ROTAS e la verticale TENET - la lettera al centro del Quadrato, la N, che nell’alfabero grco a posizionata al centro, risale alla lettera Fenicia NUN rappresentata da un PESCE, simbolo del Cristo perché il termine greco ICHTHUS veniva scomposto per formare Jesus Christus Tehou Uios Soter (Gesu Cristo Figlio di Dio Salvatore) - oltre al croce formata dalle parole TENET contiene anche altre Croci e TRIANGOLI formati dalle varie lettere. (fidatevi) Una nota merita anche l’interpretazione Cabalistica del Rotas Vedi slide 15 Prendiamo, adesso, in esame un quadrato magico, di ordine 5, il cui numero Magico in ogni senso è, ancora una volta, 65.
Notiamo subito alcune cose importanti: 1. che i numeri corrispondenti alle lettere S ed R della parola esterna ROTAS danno la stessa somma: 26 (11 + 15 = 26; 23 + 3 = 26); 2. che tutti i numeri presi due a due e la cui somma dà 26 (25 + 1; 24 + 2; 22 + 4; 21 + 5...) corrispondono sempre a due lettere identiche del quadrato magico letterale: EE, AA, EE, AA... Ora, 26 è uguale a 13 X 2, e proprio 13 è il numero che compare al centro, corrispondente alla N.(che è in posizione mediana) La chiave dell'interpretazione kabbalistica del quadrato ROTAS risiede di volta in volta ora nel 13 al centro, ora nel 26 e nel 65. 65 è la somma "numerologica" del nome ADONAI: Aleph-Daleth-Noun-Yod: 1 + 4 + 50 + 10 = 65. 26 lo è, invece, del Tetragramma: Yod-Hé-Waw-Hé: 10 + 5 + 6 + 5 = 26. ADONAI ed il Tetragramma (YHWH) sono, in ebraico, i due nomi dell'Eterno. ADONAI e YHWH danno: 65 + 26 = 91 = 10 = 1. Ebbene, il nostro quadrato magico è centrato sul 13, vale a dire sull'Unità (infatti, UNO in ebraico si dice E'HAD, la cui somma numerica è 13!). Ultima curiosità: moltissimi dei luoghi medioevali dove il Quadrato è stato rinvenuto furono possedimenti dei templari ed è possibile che tali cavalieri, depositari di conoscenze esoteriche usassero tale simbolo per contrassegnare luoghi di particolare importanza. Vedi slide 16 Moltissime altre domande potremmo porci e molte altre interpretazioni avrei potuto sottoporvi ma avrei occupato troppo tempo rischiando di diventare più noioso e di crearvi più confusione di quanto già abbia fatto. Sarebbe per me una grandissima soddisfazione l’aver stimolato la Vs. curiosità e la Vs. riflessione su un qualcosa, su un argomento che, almeno per me era completamente sconosciuto. Credo che la verità vera sul Rotas-Sator non verrà mai trovata e probabilmente non era nelle intenzioni del suo Creatore dare una unica verità per quanto difficile da individuare. Io credo che però la quantità di simboli, espressa dal Rotas- Sator sia tale che ogni uomo possa trovare o accettare l’interpretazione che ritiene più corretta e forse e proprio qui sta il segreto del Rotas-Sator: l’universalità delle possibili interpretazioni riconducibili ad un solo elemento il Quadrato appunto, frutto di una una divina ispirazione?? Per mio conto, in questo mondo fatto di opposti e contrari, di bianco e nero, di buono e cattivo è sorprendente trovare qualcosa che, da qualsiasi punto lo si legga, da qualsiasi parte si inizi ad interpretarlo, da destra, da sinistra dall’alto o dal basso o viceversa, si scopre che il senso delle parole e della frase è sempre lo stesso e anche se il significato vero e più profondo, oggi ci sfugge, non siamo noi qui per cercare la VERITA? Questa, Fratelli,è l’interpretazione che la semplicità della mia cultura, mi consente oggi di dare alla complessità del Rotas Sator. HoDetto. R. S. Lavoro prodotto dal Fr. D . F . della Loggia Lorenzo il Magnifico – Fiorenza n. 52
Vincitore della rassegna Arti Liberali 2005 MAXIMUS C’è un convegno ad Alpilux Lavoro prodotto dal Ven.Fr. M.G. e dal Fr. B.B.della Loggia T.Crudeli n.21 di Arezzo
Loggia Lorenzo il Magnifico n°52 Rilfessioni libere su "De recta ratione audiendi" di Plutarco di Cheronea 1 Premessa 2 Scopo e campo di applicazione Ed è alla luce di queste conoscenze che la lettura del testo di Plutarco è stata fatta. con l’auspicio che il lavoro sia di utilità per i Fratelli meno esperti e possa essere invece perfezionato e completato dai M.M. più esperti. Così il presente documento è redatto come spunto per il lavoro dei Fratelli, per essere letto in Loggia secondo i comandi del M.V. affinché ne risulti profitto e diletto. 3 Riferimenti Gran Loggia Regolare d’Italia – I doveri di un Libero Muratore (edizione 1723). 4 Ascoltare Per trarre profitto dall’ascoltare, il giovane, dovrà prima imparare a tacere.Poi asportare coscienziosamente tutte le asperità che possano distorcere il senso e l’armonia delle parole udite. Asperità che sono, secondo Plutarco, l’invidia, la vanità, come pure quella sorta di pigrizia che rende superficiali e facili all’acclamazione, ma che impedisce di constatare la fondatezza delle parole. Proseguendo nel percorso, l’ascoltatore, deve porsi verso l’oratore con benevolenza così che egli sia messo nella migliore condizione di esprimere le proprie specifiche conoscenze. Infine, Plutarco fa un osservazione che riporto per intero ritenendo che in qualche modo possa essere una esortazione utile nel lavoro di tutti : “Quando s'incomincia a leggere ed a scrivere, a suonare la lira o a frequentare una palestra, le prime lezioni comportano notevole confusione, fatica e oscurità, ma poi, mano a mano che si va avanti, s'instaurano a poco a poco, come avviene nei rapporti interpersonali, una grande familiarità e conoscenza, che rendono ogni cosa gradita, agevole e facile da dire e da fare. Così capita anche con la filosofia: i primi approcci con il suo linguaggio e le sue tematiche danno la sensazione di inoltrarsi su un terreno scivoloso e inconsueto, ma non per questo si deve subito sentirsene intimoriti e rinunciare, intimiditi e scoraggiati; bisogna, al contrario, affrontare i vari ostacoli e con perseveranza e desiderio di procedere oltre, attendere che insorga quella familiarità che rende dolce ogni cosa bella. Proviamo adesso a riprendere quanto sintetizzato da Plutarco e a traslarlo nel percorso di apprendimento del mestiere di L. M. Per partire constatiamo che spesso usiamo due parole: Ascoltare e Sentire come sinonimi, e nella gran parte dei casi è giusto. Ma, riflettendo notiamo che: Ascoltare è verbo di derivazione latina, indica in Italiano, l’uso del senso dell’udito, oltre ad indicare anche il dare seguito a istanze e preghiere. Sentire è verbo di derivazione indoeuropea, indica, oltre all’ascoltare anche il percepire attraverso i sensi (sentire freddo, sentire fame, sentire paura, sentire affetto). 5 Sentire Così, l’uomo in età matura, essendo libero e di buona reputazione senta nelle sua capacità di ragionare il segno di un Creatore da cui derivano le leggi del creato e la Legge per l’uomo. E che volendo progredire nella comprensione della Legge, si rivolga alla porta della Loggia sarà preparato prima di tutto nel suo cuore. Ma, quale preparazione migliore potrà avere, se non il silenzio dal rumore di fondo delle passioni, in maniera che opportunamente preparato sia in grado di ascoltare e ancor più di sentire, ciò che il lavoro di Loggia gli trasmette, e quanto più sarà costretto a non usare ciò che appare, tanto più sarà in grado di percepire ciò che è celato. Poi, quando anche potrà vedere i lavori di Loggia, cercherà di mantenere la predisposizione ad ascoltare e soprattutto a sentire, oltre ciò che appare, questa predisposizione al sentire si mantiene seguendo le indicazioni degli antichi doveri di un L.M. tra cui la benevolenza da e verso i Fratelli, la buona coscienza,e la consapevolezza della necessità un aiuto Superiore, senza il quale non potrà “partecipare” i gesti, il ritmo, le parole e strumenti del mestiere, che gli trasmetteranno l’arte antica della Muratoria. E, poiché tra le raccomandazioni del trattato di Plutarco c’è anche quella di misurare le esortazioni degli oratori prima di tutto su noi stessi, credo che dovremmo cercare, per quanto lo consentano le nostre capacità di applicare nel quotidiano gli attrezzi ci mestiere così come appresi in Loggia, sia perché un lavoro eseguito secondo l’arte è un compenso in sé e sia per poter ricevere il proprio salario con lo stesso spirito dei nostri antichi Fratelli. ( che ricevevano il proprio salario senza s. ne d.) Concludo queste riflessioni con l’apertura del trattato di Plutarco: “Tu, invece, che in più occasioni hai avuto modo di ascoltare che seguire Dio ed obbedire alla ragione sono la stessa cosa, devi pensare che; il passaggio dalla fanciullezza all'età adulta, per quelli che ragionano bene, non significa non aver più un'autorità cui sottostare, ma semplicemente cambiarla, perché al posto di una persona stipendiata o di uno schiavo essi assumono a guida divina dell'esistenza la ragione. Ho Detto. Rieti 22 Novembre 2006 Lavoro prodotto dal Fr. D . D . della Loggia Lorenzo il Magnifico n. 52 Loggia Lorenzo il Magnifico n°52
TEMPIO E LOGGIA HANNO LO STESSO SIGNIFICATO FILOSOFICO ? Autore Fr. D. F. Loggia Lorenzo il Magnifico n.52 Firenze Introduzione .Etimologia Andronico afferma che il termine Loggia, che propriamente designa il gruppo di Fratelli accomunati nel lavoro muratorio, viene utilizzato spesso anche per indicare il locale dove i Massoni si riuniscono per realizzare l’operatività rituale4. Boucher invece afferma che in realtà, la Loggia è un gruppo di Massoni, una entità collettiva, definita, che possiede una propria vitalità, uno spirito particolare10. Concludo con la definizione di Bacci che dice: se il nome Loggia è proprio la vera ed autentica significazione del corpo massonico, è assolutamente inadatto a significare il luogo in cui il corpo si aduna e che è molto meglio indicato, anche per il carattere dell’istituzione, dalla parola Tempio8. Costituzione Nelle nostre costituzioni troviamo che la Loggia è costituita da Ufficiali regolari tra i quali annoveriamo: il Maestro Venerabile, il 1° sorvegliante, il 2°sorvegliante, (le tre luci) il Segretario, il Tesoriere, il 1° Diacono, il 2° Diacono, il Copritore Interno ed il Copritore Esterno. Inoltre il Venerabile può nominare quali Ufficiali addizionali: un Cappellano, un Direttore delle cerimonie, un Organista, un Assistente Segretario e uno o più Cerimonieri. La loggia deve essere contraddistinta da un nome e da un numero e non può riunirsi senza la Bolla di Fondazione1. Nel sito “esoterica” ho trovato che ogni Loggia è distinta da un nome e da un numero, riceve la Bolla di Fondazione, dalla Gran Loggia, Bolla che deve essere esposta, durante i lavori. La Loggia si deve aprire e chiudere in 1° grado20. Concludo con il Wirth che afferma che in una Loggia i lavori sono ritenuti aperti solo se i sette ufficiali indispensabili sono al loro posto24 . Storia Secondo il mio excursus storico partendo dal sito “wikipedia” “le Logge operative formate da scalpellini al tempo del medioevo si ritrovavano nei luoghi di lavoro; normalmente l’incontro avveniva nel lato sud dell’edificio, perché in questo punto le mura sono riscaldate dal sole durante il giorno21. Secondo Porciatti le prime Logge speculative si riunivano in locande o taverne e un guardiano stava a difesa alla porta armato di una spada per impedire l’ingresso ai malintenzionati. Da qui formalmente si fa risalire, al 27 giugno 1717, la costituzione della prima Gran Loggia Inglese (formata dalle logge che si riunivano alla locande: “L’oca e il grillo”, “La corona”, “Il melo”, “Il bicchiere e le uve”14. Nella chiave di Hiram troviamo, invece, la data del 24 giugno 171717. Differenze nominali le troviamo anche nel Jones: “il boccale e le uve” di Westminster “l’oca e la graticola” nel cortile della Cattedrale di S. Paolo, “alla Corona” di Drury Lane, “alla Taverna del Melo” di Covent Garden16. Anche Lennhoff dà la sua versione: ..formata dalle logge che si riunivano alla locande: “All’oca e alla graticola”, “Alla corona”, “Al melo”, “Al romano ed al grappolo” (24 giugno 1717 nel giorno di San Giovanni Battista “secondo il Rev. Dr. James Anderson”)18. Sessa scrive: Le quattro antiche logge che insieme, il 24 giugno 1717, a Londra, fondarono la prima Gran Loggia, si riunivano rispettivamente: alla birreria “The Goose and Gridiron” in Sait Paul’s Church-yard – alla birreria “The Crown” in Parker’s Lane nei dintorni di Drudy Lane, – alla taverna “The Apple-Tree” in Charles Street, Covent Garden – alla taverna “The Rummer and Grapes”, in Channel-Row, Westminster ed al”l’oca e il girarrosto”23. Permettetemi la citazione sull’argomento “il pastore presbiteriano James Anderson, che con la guida del Gran Maestro Desaguliers, dal 1717 al 1727, compose il corpus unicum The Constitutions of the Free-Masons”6,3 il quale da solo meriterebbe una riflessione. Sebbene Fontaine scrive che, secondo alcuni la creazione della Massoneria si farebbe risalire a Salomone13, Sebastiani afferma che comunque i più fanno risalire la Massoneria speculativa agli albori del 170022. Concludo il paragrafo storico evidenziando che alcuni Autori affermano che i ritrovi avvenivano principalmente in un’osteria, un caffè o una birreria, soprattutto in occasioni festive, come l’iniziazione di un nuovo fratello, le feste di San Giovanni o in corrispondenza di rappresentazioni delle opere di Shakespeare dato che la musica aveva un ruolo molto importante, come testimoniano le opere dei fratelli Mozart, Handel, Beethoven ecc.2
Conclusioni - Loggia
Loggia Lorenzo il Magnifico n°52 Carissimi Fratelli, Tengo a precisare, anche se non ce ne sarebbe bisogno, che questa esposizione è frutto di considerazioni totalmente personali, a parte le citazioni che verranno evidenziate nei vari modi (fra virgolette, sottolineate e altro). La prima difficoltà che ho trovato, è stata: come far conciliare i santi, che sono espressione solo e soltanto della religione cristiana, con l’universalità della nostra istituzione che è presente in ogni parte del continente e quindi frequentata da persone di ogni razza e religione? Come ci ricorda Kipling nella sua poesia MOTHER LODGE“… e si rincasava per dormire con Maometto, Dio e Shiva che facevano il cambio della guardia nelle nostre teste. …”, facendo intendere che quando sei all’interno del Tempio con i tuoi fratelli non importa di che religione sei, ma importa solo che ogni fratello abbia il SUO Dio. Ciò perché, almeno io l’ho sempre interpretata in questo modo, il Tempio a cui tutti facciamo riferimento è il Tempio eretto da Hiram Abif per il Re Salomone, all’interno del quale era esistente il Sancta Sanctorum, ossia il “Santo dei Santi” o anche detto “Santissimo”, dove era custodita l’arca dell’Alleanza. Ma vi era, sempre al suo interno, anche un’altra cosa: la “even shetiyyah”, ossia la pietra di fondazione del mondo. E non è una mia invenzione il fatto che da lì siano nate le religioni, ossia l’ebraismo, l’islam, il cattolicesimo e l’induismo. Per avere conferma del mio pensiero, ho chiesto aiuto anche al prof. B., docente universitario in “Storia dell’ebraismo”, chiedendogli se, a sua conoscenza, i santi fossero presenti anche nelle altre religioni. La sua risposta, ben articolata, è stata che no, non ci sono figure al pari dei nostri santi nelle altre religioni (e stiamo parlando di ebraismo, islam e induismo). Vi sono altre figure più o meno venerate (nell’ebraismo mi ha citato gli Tzaddikim, oppure i rebbe; nell’islam vi sono i Marabutti), che sono delle figure ascetiche alle quali si rivolgono i credenti soprattutto per guarire dalle malattie o semplicemente come aiuto nelle preghiere. E quindi il mio dubbio e la mia domanda si fa sempre più frequente: cosa c’entrano i Santi nella Massoneria? Spesso, nelle nostre tornate e nelle nostre agapi, parlando magari con altri fratelli di altre logge in occasioni di visite, abbiamo sentito parlare dei “Santi Quattro Coronati”, conosciuti anche come “Quatuor Coronati”. Anche in questo caso (almeno per le ricerche da me fatte), si tratta solo di quattro scalpellini del 300 dopo Cristo che, clandestinamente, praticavano la religione cristiana. Si tratta di Sinforiano, Claudio, Nicostrato e Castorio che chiamati dall’imperatore Diocleziano perché scolpissero un’effigie del Dio Esculapio, si rifiutarono confessando la loro appartenenza alla religione Cristiana, e per questo furono martirizzati. Per questo motivo, nel medioevo diventarono i patroni e santi protettori dei muratori, degli scalpellini e delle corporazioni edili. Da qui la connessione con la massoneria. Altri testi indicano invece come i “Quatuor Coronati” i soldati romani Secondo, Carpoforo, Vittorino e Severiano che vennero martirizzati in quanto si rifiutarono di venerare la statua del dio Esculapio. La confusione con i santi sopra citati può essere fatta derivare dal fatto che i loro corpi occupavano le tombe dei martiri scalpellini prima che questi vi venissero traslati. Altra argomento che spesso ho sentito trattare e che si ritrova in ogni testo dedicato alla massoneria è la festività di San Giovanni in occasione del solstizio d’estate. Questa data (24 giugno) è anche la data per tradizione della nascita della Gran Loggia d’Inghilterra (24 giugno 1717), nata dallunione di diverse logge inglese. Orbene, questo giorno, fin dall’antichità, è sempre stato considerato come un giorno “importante”, perché è il giorno in cui il sole, dopo alcuni giorni in cui sorge e tramonta sempre nella stessa posizione e quindi sembra avere una sosta (da qui la parola solstizio), ricomincia a sorgere sempre più a sud, allungando così di fatto le giornate. Tale giorno, dicevo, era però già noto fin dall’antichità. Fin dall'antichità gli uomini si erano resi conto di questi cambiamenti e avevano celebrato l'evento con diversi festeggiamenti. Gli antichi greci chiamavano il solstizio estivo "Porta degli uomini", poiché, nella loro mitologia, era il momento in cui le anime uscivano dalla caverna cosmica. Concludendo, a mio modestissimo, opinabilissimo e sindacabilissimo parere, il fatto di voler coniugare santi e massoneria deriva dal semplice fatto di cercare un punto d’incontro tra la chiesa e questa “corporazione”, in quanto la chiesa non ha mai visto con occhio benevolo questa istituzione. A riprova di quanto sopra, riporto quanto pubblicato dalla Santa Sede il 26 novembre 1983, sotto il pontificato di Papa Giovanni Paolo II: “Rimane pertanto immutato il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delle associazioni massoniche, poiché i loro principi sono stati sempre considerati inconciliabili con la dottrina della Chiesa e perciò l’iscrizione a esse rimane proibita. I fedeli che appartengono alle associazioni massoniche sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla Santa Comunione. Non compete alle autorità ecclesiastiche locali di pronunciarsi sulla natura delle associazioni massoniche con un giudizio che implichi deroga a quanto sopra stabilito.” Vi ringrazio per l’attenzione e, sdrammatizzando, riporto ciò che come dice il sagrestano a Mario Cavaradossi nella famosa opera lirica Tosca: “scherza coi fanti e lascia stare i santi”. Ho detto. Lavoro prodotto dal Fr. F . C . della Loggia Lorenzo il Magnifico n. 52
Loggia Lorenzo il Magnifico n°52
Nella tradizione cristiana, la locuzione indica il complesso di norme relative alla vita spirituale, individuale e collettiva dei religiosi (la regola benedettina, la regola francescana etc…), in virtù della quale il clero regolare (differenziandosi da quello secolare) è quello rappresentato da religiosi che vivono in comunità soggette ad una regola. Differente è il concetto di regolamento. Esso implica, infatti, una elaborazione da parte di chi, dovendo conferire ordine e funzionalità mediante opportuni mezzi ed interventi, provvede ad applicare una serie opportuna e specifica di norme valide per un numero determinato di persone. In buona sostanza, il regolamento, secondo una definizione corrente, non è altro che una serie di norme giuridiche emanate da una organo amministrativo nel quadro della legislazione vigente per regolare determinati settori di attività, o anche di norme autonome per disciplinare il proprio funzionamento. L’istituzione massonica è contraddistinta dall’osservanza di regole. Si pensi, in primis, alle norme che disciplinano la vita associativa della istituzione stessa, che rappresentano i regolamenti dell’Ordine e delle stesse Logge. Si considerino, poi, a quelle che disciplinano i rapporti tra l’istituzione massonica e il mondo profano. Si guardino, altresì, alle regole che connotano il rituale che, come già è stato da altri sottolineato, sono certamente le prime che colpiscono l’iniziato e che si chiede all’iniziato di rispettare: pensiamo al simbolo legato al momento in cui l’iniziato suggella la propria sincera e solenne promessa di mantenere inviolati i misteri dell’Ordine sul Volume della Legge Sacra, assumendosi un impegno di riservatezza la cui osservanza è essenziale per la difesa delle peculiarità iniziatiche dell’Ordine. O, ancora, al Libro delle Costituzioni e dei Regolamenti sui quali il Maestro Venerabile richiama l’attenzione dell’iniziato durante la cerimonia di iniziazione. Lo stesso regolo da 24 pollici simboleggia la disciplina che un muratore dovrebbe osservare nella gestione del proprio tempo indicando quali attività dovrebbero avere dignità di accoglimento nelle 24 ore di una giornata. Del resto, la ritualità è la veste necessaria ed indefettibile di una massoneria speculativa nello svolgimento del lavoro massonico sia durante i lavori in loggia che nell’Agape, non a caso definita “rituale”, successiva. Ancora, in ben 15 punti si articolano gli antichi doveri e “regole” che devono essere letti dal Segretario al Maestro eletto prima della sua installazione a Maestro Venerabile e che devono permeare tutta l’attività svolta dal Maestro Venerabile in loggia, nei rapporti con l’istituzione massonica e con quella civile. Molti hanno definito regola principe dell’Ordine: i landmarks. Landmark è parola di origine sassone che significa “segno di terra”; in inglese indica il confine di un territorio. Nella Massoneria indica le regole immutabili dell’Istituzione ovverosia, secondo la definizione fornita da J.W.S. Mitchel in History of Freemasonry and Masonic Digest (Vol II p. 707) rappresentano le leggi immemorabili che sono state tramandate di epoca in epoca e da generazione in generazione senza che nessuno ne conoscesse l’esatta origine e senza che nessuno avesse il diritto di alterarle o mutarle. La parola, come la sua etimologia chiaramente indica, simboleggia gli antichi pilastri che servivano a segnare i confini fra una proprietà l’altra e la cui rimozione era considerata un illecito sin dall’antichità: essa, dunque, designa quei confini particolari che separano la Massoneria dal mondo profano e che costituiscono, appunto, i “pilastri” dell’Ordine. Al riguardo l’art. 39 delle Costituzione di Anderson del 1723 recita: “Ogni Grande Loggia Annuale è rivestita dal potere e dall’autorità di fare nuovi regolamenti o di modificarli, alla condizione che gli antichi Landmarks siano sempre accuratamente conservati”. Molti, da parte di autorevoli esegeti, sono stati i tentativi di individuare ed enumerare i landmarks, ma in realtà, la natura stessa dei landmarks implica che una enumerazione di essi sia assai improbabile. Tutto ciò che si può arguire è che il landmark è una regola o un costume che è esistito da tempo immemorabile. In sostanza, se un uso universale esiste ed è esistito tanto a lungo che la sua origine è ignota, esso è un landmark. Taluno, in modo assolutamente appropriato, ha definito i landmarks come un corpo di precetti fondamentali di validità massonica universale, vincolanti ovunque e in tutti i tempi, i massoni e le organizzazioni massoniche, l’adesione ai quali da parte dei massoni e delle organizzazioni massoniche rappresenta un prerequisito di riconoscimento come massoni, in definitiva sono landmarks quegli elementi essenziali della Libera Muratoria senza uno dei quali la stessa Libera Muratoria non potrebbe esistere, sottolineando come la combinazione di tutti i landmarks rappresenti il Corpo della Libera Muratoria, tanto da arrivare a sostenere che “un landmark può essere scoperto me non creato”. Lasciando ogni ulteriore elucubrazione sul punto a ben più autorevoli e preparati commentatori, vorrei segnalare quella che a modesto avviso di chi scrive è la regola che dovrebbe rappresentare l’essenza delle regole cui si dovrebbe ispirare ogni libero ed accettato muratore ovvero l’impegno solenne, rammentato anche al Maestro Venerabile dal segretario di loggia al momento dell’installazione, a “tenere sempre una condotta onesta e rispettabile e ad obbedire alla Legge Morale”. Ma qual è la natura, l’essenza della “legge morale”? Occorre considerare che, così come recitano le stesse Costituzioni di Anderson sin dal 1723 un muratore è tenuto, per la sua condizione, ad obbedire alla legge morale. Quando un profano bussa alla porta del Tempio si richiede la garanzia che sia un uomo “libero e di buona reputazione”, ossia che la sua moralità, malgrado le manchevolezze tipiche delle umane cose, sia ad un livello tale da permettergli di fare parte di una istituzione composta unicamente da uomini liberi e di buona reputazione. Non si pretende con ciò che debbano essere accolti in loggia aperta solo profani “perfetti”, giacchè altrimenti non avrebbe alcun senso il loro percorso iniziatico, contraddistinto anche dal richiesto impegno a sgrossare la pietra grezza, ma tuttavia pare essenziale che la loro buona reputazione ossia la loro moralità in campo profano sia suscettibile di quel continuo miglioramento interiore che costituisce uno degli scopi fondamentali dell’istituzione massonica. In altri termini, se si vuole procedere allo sgrossamento ed alla levigazione della pietra grezza bisogna che, in origine, via sia una pietra, ovverosia una solidità morale, sia pure grezza, sulla quale sia possibile lavorare e sia suscettibile di perfezionarsi. Del resto, si è detto, da taluno, che l’Arte muratoria consiste appunto in questo: scegliere la pietra grezza che sia suscettibile di lavorazione; in sostanza occorre selezionare candidature di profani che posseggano una “moralità” preesistente ma che con un lungo e paziente lavoro, di grado in grado possa essere trasformata in “moralità massonica”. Invero, la morale, ovvero il principio etico che sta alla base della condotta del singolo individuo può avere differenti genesi. Essa può derivare a norme che la persona sente dentro di sé che permettono alla stessa di regolarsi secondo la coscienza personale che indica e distingue il bene dal male. Tuttavia, poiché l’uomo è animale sociale ci sono regole di comportamento morale che provengono dall’esterno e che indicano all’uomo condotte che possono, o non possono, corrispondere a quanto gli viene dettato dalla coscienza personale. Quando c’è accordo tra la morale personale e la morale “eteronoma” non dovrebbero sorgere problemi, ma quando, viceversa, sussiste un contrasto tra le stesse, ciò potrebbe provocare una condizione di “disarmonia” tra il singolo e la comunità che quella morale “eteronoma” propone all’individuo. Questo è il motivo per il quale è essenziale che il profano che si avvicina all’istituzione venga previamente informato su quali siano i principi morali cui la Massoneria si ispira, per valutare in piena coscienza, spontaneamente e liberamente, se e fino a che punto sia disposto ad accettarli. Alla stessa stregua sarà dovere dell’Ordine verificare se ed in quanto la moralità di un candidato sia tale che egli possa recepire, in piena armonia, i principi morali della Famiglia nella quale chiede di entrare. In buona sostanza, si può asserire, senza tema di smentita, che la Libera Muratoria ha il massimo rispetto per l’autonomia di coscienza di ogni suo membro, ma che, allo stesso tempo, esige dallo stesso che egli accetti e metabolizzi come propria la “legge morale”, ovverosia le norme di comportamento dei fratelli: libertà, eguaglianza fratellanza. Tutto ciò nella consapevolezza che, tanto l’etica individuale quanto le regole di comportamento massonico che vengono accettate, derivano tutte da un unico principio, superiore all’individuo e all’istituzione, un principio “trascendente” dal quale devono trarre ispirazione e guida sia la moralità individuale che quella della Famiglia massonica che è quello derivante dall’accettazione del Grande Architetto dell’Universo come creatore di una volontà etica universale e universalmente riconosciuta. Ho detto. Lavoro prodotto dal Fr. N . M . della Loggia Lorenzo il Magnifico n. 52
Autore Fr. S. S. Loggia Lorenzo il Magnifico-Fiorenza n.52 Firenze Dear Brethren of the Mystic Tie, the night is waning fast. Our work is done, our feast is o'er, this toast must be our last. Good night to all, once more good night, again that farewell strain. Happy to meet, sorry to part, happy to meet again. To all poor and distressed Masons, wheresoever dispersed (over the face of the earth or water), a speedy relief to their suffering, and a safe return to their native land if they so desire. (Three knocks) With me, my brethren, To All Poor and Distressed Masons! (Drink and present arms as before, glasses down at the same instant as Tyler's.)
Nella consuetudine massonica i brindisi da effettuarsi durante l’agape rituale sono sette. Benché tale numero possa variare a seconda delle consuetudini o della volontà del maestro venerabile, per ultimo viene costantemente eseguito il Brindisi del Guardiano. Il guardiano (“guardian”), nelle logge operative, era il fratello che si assumeva l’incarico di sorvegliare la porta e proteggerla dagli estranei. Probabilmente costui non era un vero e proprio membro della “craft”, ma era solo un aspirante apprendista con compiti esclusivamente servili. Solo dopo che la massoneria ebbe assunto caratteristiche prevalentemente speculative, l’incarico di guardiano fu arricchito di nuovi compiti (copritore esterno, tegolatore, ecc.) e rinominato con il termine “Tyler”, utilizzato per la prima volta da J. Anderson nella seconda edizione delle Costituzioni (1738). Questa origine potrebbe parzialmente spiegare il motivo per cui in Italia si parla di Brindisi del Guardiano mentre in Inghilterra di “Tyler’s Toast”. Si potrebbe infatti supporre che l’antica terminologia non è stata mai superata per una oggettiva difficoltà a tradurre il termine “tyler” che tuttora i dizionari di Inglese non riportano; ed evidentemente non è entrato nella consuetudine definire “del Copritore Esterno” un brindisi proponibile da ogni fratello, anche perché forse il Copritore Esterno nella massoneria italiana tradizionale non ricalca totalmente la figura del “Tyler”. Non è ben chiaro quando il Brindisi del Guardiano abbia fatto la sua comparsa, essendovi nel passato una notevole resistenza a disporre verbali o rituali per iscritto. Delle ipotesi tuttavia possono essere fatte. Un primo riferimento è da individuare nel “Libro delle Costituzioni degli antichi” (Ahiman Rezon), redatto da L. Dermott nel 1756. Questo, come altri testi del periodo, comprendeva lunghi canti da intonare una volta terminati i lavori. Questi canti venivano interrotti ad intervalli prestabiliti per proporre brindisi alla salute di singoli o di gruppi. A pag. 148 vi è un canto, che si conclude oltre due pagine dopo, con questi versi: Alla salute degli antichi liberi muratori Da un capo all’altro del globo Ovunque essi siano Dio salvi il re Dio salvi il re A tutti gli antichi massoni Ovunque essi siano dispersi od oppressi In tutto il mondo &c.
Nel 1719 Desagulier si era impegnato per ripristinare i peculiari e regolari vecchi brindisi della Massoneria. Anderson, pur senza nominarli singolarmente, li aveva inclusi nei canti che seguivano le costituzioni, ma sia in quelle del 1723, sia in quelle del 1738 del Brindisi del Guardiano non vi è traccia. D’altronde il fatto che Dermott usi il simbolo &c. lascia pensare che che il canto da lui riportato sia ben noto a tutti i massoni, e fa concludere che il nucleo embrionale del Brindisi del Guardiano si sia sviluppato approssimativamente fra il 1738 e il 1756. Un breve riferimento ne fa anche W. Preston in “Illustration of Masonry” del 1746, senza peraltro riportarne il contenuto. B. E. Jones nella sua “Guida e compendio per i Liberi Muratori” del 1950, riferisce che la frase iniziale, già da allora, avrebbe dovuto essere: “ A tutti i massoni poveri ed afflitti ovunque si trovino….”.
Qual è il significato del brindisi del guardiano? Alla metà del XVIII secolo la massoneria era in grande espansione, avendo la Gran Loggia Unita d’Inghilterra solo 30 o 40 anni. Era una fase di grande espansione anche per l’ Impero Britannico che doveva sostenere guerre contemporaneamente in tutti i continenti. Molti, e forse moltissimi militari arruolati erano massoni; l’alto numero di logge militari e comunque l’esistenza di molte bolle di fondazione di logge coloniali possono facilmente dimostrarlo. A quel punto, ed in quella condizione, da parte dei fratelli rimasti in patria ricordare i fratelli lontani e rendere questa formula quasi un rituale rappresentò un percorso quasi inevitabile. In alcune logge britanniche, la frase finale “se lo desiderano ” è completata dalle parole “ e lo meritano”, divenendo “se lo desiderano e lo meritano”. In quel tempo molti condannati erano sottoposti all’emigrazione forzata ed è possibile che il rientro di personaggi di dubbia reputazione, ancorché fratelli, non fosse visto di buon occhio dalla comunità massonica. Il Brindisi del Guardiano viene eseguito solitamente per ultimo prima della conclusione dell’agape, la cui consuetudine ne prevede sette. Per spiegare questa collocazione possiamo solo fare delle supposizioni. Secondo L. Troisi nel suo Dizionario Massonico anticamente (logge operative? N.d.e.) i brindisi erano dedicati ai 7 pianeti allora conosciuti. Il settimo pianeta (Saturno) era quello che con la sua orbita comprendeva tutti gli altri rappresentando il limite fra ciò che è “dentro” e ciò che è “fuori”, esattamente come il Copritore Esterno, che sembra trovarsi, nell’esecuzione del suo ufficio, in questa medesima condizione. Quindi così come Saturno è il pianeta più esterno e il brindisi a lui dedicato non può che essere il settimo ed ultimo, così il Copritore Esterno potrà essere ugualmente rappresentato nel settimo ed ultimo brindisi. Si deve poi notare che il legame fra Saturno e il Copritore Esterno ha un’ulteriore sfaccettatura: il pianeta infatti rappresenta la virtù della riservatezza, proprio quella che il Copritore Esterno deve proteggere. Un’altra ipotesi è quella che vede, durante i lavori, il Copritore Esterno come un fratello “assente”, e come tale l’ufficiale più accreditato a proporre il brindisi una volta rientrato in seno ai fratelli per l’agape rituale. Non sempre tuttavia il Brindisi del Guardiano è l’ultimo brindisi. W. Preston nella sua “Illustration of Masonry” del 1746 lo propone come quarto. In alcune logge australiane è previsto come quinto. Il Brindisi del guardiano non è neppure una prerogativa assoluta del Copritore Esterno. Esso può essere proposto all’approvazione del MV da qualsiasi fratello. In alcune antiche logge esso viene proposto dal 1°S, in altre dallo stesso MV, magari come primo della serie. L’orientamento abituale è che se il Brindisi viene proposto dal Copritore Esterno esso viene effettuato per ultimo, mentre negli altri casi può essere uno dei brindisi abituali, normalmente il settimo, anche se il numero può variare. Nonostante che le varianti adottate nel tempo siano numerose e sostanzialmente legate al fatto che il Brindisi del Guardiano così come oggi lo conosciamo (e questo vale in realtà anche per altri brindisi) sia una sorta di estrapolazione di parole o frasi provenienti da canti molto più lunghi e complessi - il più celebre dei quali è “The Final Toast” di D.L. Richardson edito nel 1852 (vedi Tav.1) - nonostante tutto questo, la formulazione abitualmente adottata (quella riportata all’inizio di questo articolo) è stata accettata ufficialmente (e pubblicata a stampa) per la prima volta nel 1978 ad opera della Gran Loggia dello Iowa, che, come è noto è una delle Gran Logge regolarmente riconosciute dalla UGLE. Per finire, non si può non ricordare che il poeta Rudyard Kipling utilizzò il tema del Brindisi del Guardiano per comporre alcuni versi della sua poesia “La vedova di Windsor”, così concludendola: Poi c’è per i figli della vedova Ovunque e comunque essi vaghino C’è tutto ciò che desiderano E se essi lo richiedono Un rapido ritorno alle loro case (Poveri diavoli , mai rivedranno casa!). (t.d.e.).
Tavola n. 1 THE FINAL TOAST (The Tyler's Toast) David Lester Richardson In uno scritto presentato alla Loggia” Quatuor Coronati” No. 2076 nel 1978 (pubblicato lo stesso anno nel periodico AQC vol. 91 con il titolo “The Final Toast) Will Read conferma che i versi del canto “The Final Toast” sono stati scritti da David Lester Richardson, nato a Londra nel 1801. Per alcuni anni egli ha prestato servizio nell’ esercito britannico in India ricoprendo l’ incarico di Aiutante di Battaglia del Governatore Generale Lord William Bentinck. David Lester Richardson era stato iniziato alla massoneria nella Loggia “Industry and Perseverance” No.126 in Calcutta senza peraltro mai ricoprire alcun ufficio. Come postilla possiamo notare che per dare un contributo significativo all’ istituzione non è necessario ricoprire alcuna carica. The Masonic Vocal Manual, Calcutta, 1852 Are your glasses charged in the West and South, the Worshipful Master cries; CHORUS: Happy to meet - sorry to part - happy to meet again, again, The Mason's social Brotherhood around the Festive Board, We work like Masons free and true, and when our Task is done, Amidst our mirth we drink "To all poor Masons o'er the World" The Mason feels the n e truth the Scottish peasant told Dear Brethren of the Mystic Tie, the night is waning fast
Lavoro prodotto dal Fr. S . S . della Loggia Lorenzo il Magnifico n. 52
Perché essere Massoni nel Terzo Millennio Firenze , 11 Gennaio 2008 Negli anni dei Lumi, della volontà di far prevalere la ragione ed in questa cercare le origini dell’Uomo, in quella realtà fervente di nuovo ma ancora intrisa dei residui di speculazioni filosofiche alchemiche, di fughe verso il buio dell’irrazionale passato nasceva il Nuovo Ordine contribuendo in modo significativo al diffondersi della Luce della Scienza. La Massoneria si costituiva attorno ad uomini degni dei primi del ‘700 in Francia, Inghilterra, Italia e via, via in tutta Europa e nel Nuovo Mondo. V’era allora la volontà di incontrarsi tra menti speculative e l’allegoria della antica corporazione di Maestri Muratori risalente agli albori dell’Uomo Costruttore era perfetta per riunire i Costruttori di una Nuova Era. I primi tempi dell’Ordine furono gravidi di cose grandiose, basti rammentare l’Enciclopedia, la promulgazione della Leggi Liberali in Inghilterra, la Rivoluzione Francese e degli Stati Uniti d’America e via scorrendo gli anni fino al Risorgimento Italiano, al fermento anticlericale, non antireligioso, fino a doversi nascondere, pur rimanendo vitale, negli anni dell’ideologia Fascista o peggio Nazionalsocialista. Nel più recente periodo e non solo in Italia nel secolo scorso della ricostruzione postbellica con l’inevitabile fiorire di affari ed intrighi e di complotti a cui l’Ordine nelle sue molteplici sfaccettature è stato coinvolto se non protagonista, suo malgrado, screditato dalla diffusa disinformazione di una stampa che tende a generalizzare ciò che fu una deviazione dalla grande Idea originaria. La visione massonica del mondo e la missione di ogni Fratello diviene oggi più fondamentale che mai per favorire l’avverarsi di quella, che a me pare, l’indispensabile catarsi generale del pensiero e dell’azione dell’Umanità perché si realizzi un nuovo Rinascimento. Credo che l’attualità dell’ordine nel nuovo millennio sia da ricercare non nelle dimensioni dell’Istituzione ma nelle sue radici profonde, non nella ricerca di aggregazioni funzionali a privilegi reali o presunti ma nella sincerità e limpidezza di un afflato di fratellanza tra pari in una meditata sicurezza di essere in un luogo immateriale che consenta all’Uomo di scoprire se stesso nella massima libertà e rispetto di ciascuno di trovare la via e le idee per poter crescere nella scoperta dei reali valori ed avendo la certezza di trovare nell’Officina un aiuto concreto dove vengono forniti gli strumenti e dov’è permesso il confronto, non lo scontro, delle proprie convinzioni maturate nello studio e nella riflessione dovere di ognuno. Tutto ciò può sembrare utopico e retorico leggendo, guardando ed ascoltando ciò che i media raccontano di noi, spesso basandosi solo sugli aspetti più esteriori e meno reali ma più di impatto emotivo di un mistero avvolto dal fascino dell’incerto che si percepisce nelle cose segrete. Ma la retorica e l’utopia non entrano nelle nostre Officine, noi sappiamo bene che non è così. Sappiamo che le allegorie ed i simboli sono parte di un percorso, sappiamo che i riti sono la sintesi di quanto si è nei secoli sedimentato solidamente e il rispetto della tradizione l’indispensabile bussola per non perdere la rotta in un nostro tempo che capovolge in continuazione tutti i cardini della morale tendendo ad annullarli. Concludo sostenendo con forza e convinzione che oggi più che mai l’essere Massoni sia un privilegio raro che deve essere gelosamente difeso e che ha il potenziale di volgere in positivo il destino dell’Uomo. Voglio aggiungere che l’attualità dell’essere Massoni rimane nelle mani e soprattutto nei cuori e nelle menti di ogni singolo Fratello, di ogni singola Loggia perché dentro ognuno e nella propria Officina sia possibile fare quei progetti, costruire quegli edifici morali che siano degni della Gloria del Grande Architetto dell’Universo e della Sua Eterna Perfezione. Grazie Fratelli di avermi consentito di stare tra voi, grazie Fratelli di consentirmi di essere parte di una catena virtuosa che si stende lungo tutti i continenti e che non si deve mai spezzare e che mai si spezzerà. Ho detto! Firenze, 11 gennaio 2008 Agape rituale della Loggia Lorenzo il Magnifico n. 52 di Firenze Lavoro prodotto dal Fr. M. T. della Loggia Lorenzo il Magnifico n. 52
Firenze , 04 Aprile 2008 Premessa Le tre luci maggiori della L.M. sono bene conosciute da ogni M. così come lo sono le tre luci minori. Le prime tre regolano la nostra fede, le nostre azioni, ed i limiti della nostra condotta. Le seconde tre regolano il giorno, governano la notte e regolano e dirigono la L. Scopo e campo di applicazione La presente tavola non riporta la descrizione specifica delle tre luci (maggiori e minori) poiché è fatta per essere letta in AGAPE, che per quanto rituale non può escludere la presenza di profani. La tavola è fatta secondo i comandi del M.V.. con l’auspicio che il lavoro sia di utilità per i Fratelli meno esperti e possa essere invece perfezionato e completato dai M.M. più esperti. Riferimenti Gran Loggia Regolare d’Italia – Rituale Emulation. Le tre luci Noi vediamo gli oggetti che ci circondano in ragione della loro capacità di trattenere o riflettere la Luce. Così, pur avendo gli occhi per vedere, niente percepiamo nell’oscurità. L’esposizione alla Luce ci rende in grado di vedere ciò che era celato, così che l’oggetto celato riflettendo la Luce diventa fonte di nuova Illuminazione. Le Tre Luci, dunque, ricevono luce e la restituiscono verso il L.M. che, può così intraprendere il suo mestiere, dotato di strumenti di conoscenza e lavoro appropriati. E che lo rendono in grado di regolare la propria Fede, le proprie azioni e i limiti della propria condotta. Le Tre Luci sono dunque tre punti di riferimento, tre punti. Per un punto infinite rette, per due punti una sola retta e per tre punti un solo piano: il piano di fondazione della Loggia. Ai tre punti, tre colonne si elevano verticalmente nei tre ordini canonici di Forza, Saggezza, e Bellezza. Tre, anche i punti di un arco, le tre luci minori, per regolare il giorno, governare la notte, e regolare e dirigere la L. Così sulle tre luci maggiori, le colonne dei tre ordini sormontate dall’arco che sostiene la volta del Cielo che Copre a Terra la Loggia dei L.M. Ho Detto.
Firenze, 04 aprile 2008 Agape rituale della Loggia Lorenzo il Magnifico n. 52 di Firenze Lavoro prodotto dal Fr. D. D. della Loggia Lorenzo il Magnifico n. 52
La Scala a chiocciola e la Camera di mezzo Firenze , 11 Aprile 2008 della Loggia Lorenzo il Magnifico n°52 di Firenze della Gran Loggia Regolare d’Italia Firenze, venerdì 11 aprile 2008 Dal nostro rituale Emulation possiamo osservare la tavola del secondo grado ed è ispirandomi a questo che proverò ad affrontare il tema assegnatomi dal M.V. della nostra Loggia Lorenzo il Magnifico n°52 di Firenze della Gran Loggia Regolare d’Italia. Nel I Libro dei Re, 6,8 si dice che l’accesso alle camere superiori, da quella inferiore a quella centrale avveniva tramite scale a chiocciola. Va anche detto però che le valenze simbologiche che la Massoneria ha dato a questi elementi sono totalmente diversi da quelli dati inizialmente nel racconto biblico. Secondo Prichard (1730) la scala era composta da 7 o più gradini perché 7 o più massoni fanno una Loggia giusta e perfetta. Secondo Preston (1772) la scala si divi de in 1,3,5,7,9,11 o 36 gradini. Altri Autori assegnano ad ogni gradino una lettera dell’alfabeto, oppure delle parole, oppure come Sebastiani alle arti o scienze liberali. Secondo le scritture nel luogo Sacro non vi era alcuna scala a chiocciola, anche se ve ne erano due nelle stanze che circondavano le pareti meridionali, occidentali e settentrionali del Tempio di Salomone. L’una a sud-est e l’altra a nord-ovest,e il fiume Giordano si trovava in realtà ad est del Tempio, nel dipinto della tavola invece si osservano: una piccola cascata ed una spiga di granoturco che ricorda la sconfitta degli Eframiti da parte di Jephta e del suo esercito, le due colonne Jachin e Boaz che fiancheggiano l’unico ingresso del Tempio all’estremità orientale del palazzo, vi è dipinta inoltre una scala a chiocciola che conduce dall’entrata posta a sud est al Santa Santorum collocato a ovest. La scala a chiocciola, o scala curva, che consentiva ai nostri antichi fratelli di poter accedere alla camera di mezzo per ricevere il salario che gli spettava. Essa era il percorso, che da A.A. con gli Strumenti di un libero muratore, saliva per tre gradini dritti, come C.d.M. saliva di cinque gradini, la scala curva avendo acquisito la conoscenza dei cinque ordini architettonici il Toscano Il Dorico, lo Ionico,il Corinzio, e il Composito, poi come altri sette gradini poiché R.S. aveva impiegato sette anni ed oltre nella costruzione del Tempio. Sette erano anche le Scienze Liberali ossia: la Grammatica, la Retorica, la Logica, l’Aritmetica, la Geometria, la Musica, e l’Astronomia. Oltre a questi aspetti la scala a chiocciola a suggerito a chi ha affrontato questo argomento prima di me, un simbolismo legato alla struttura curvilinea, la quale potrebbe celare segreti che viceversa una scala diritta dritta non sarebbe in grado di nascondere. Di fatto per sapere cosa si nasconde dietro una curva occorre andare avanti, in questo caso salire i gradini per scoprire cosa si cela dietro la svolta. Comunque nel rituale Emulation in cima alla scala troviamo la Camera di Mezzo. La Camera di Mezzo,secondo Marius La Page è la perdita delle illusioni, è l’athanor ermeticamente chiuso nel quale si compie la gloriosa trasmutazione dei centri di conoscenza che passano dal cervello al cuore. La conoscenza del cuore è la comunicazione diretta con la sorgente di vita. È l’illuminazione intellettuale davanti alla quale tutto si rimpiccolisce alla sua giusta grandezza. In tutte le tradizioni, il mezzo, è il centro ideale. Accedere alla Camera di Mezzo è pervenire al centro della ruota dove i profani sono posti sulla Circonferenza e gli iniziati in cammino sui raggi verso il centro. Ed è proprio dalla Camera di Mezzo che inizia il percorso del Maestro………… Firenze, 11 aprile 2008 Agape rituale della Loggia Lorenzo il Magnifico n. 52 di Firenze Lavoro prodotto dal Fr. G. M. della Loggia Lorenzo il Magnifico n. 52
Firenze , 16 Maggio 2008 Maestro Venerabile Cari Fratelli Con questo mio breve contrinuto intenderei tentare di chiarire a me stesso ed a voi le sensazioni, le impressioni e l’apparato gnoseologico di cui ho beneficiato dalla mia ancora recente iniziazione ai segreti della Libera Muratoria. Mi sono chiesto, innanzitutto, quale fosse stata la molla che ha spinto A. all’appartenenza alla fratellanza: il desiderio di un riconoscimento? Di appartenere ad un’ “èlite”? Di diversificarmi dalle masse? L’avvolgersi di misterico ermetismo? Cullarmi del tepore di un non ben inteso enigma iniziatico? Sapevo, ad ogni modo, che tutte le esperienze iniziatiche hanno lo scopo di recidere il passato, attraverso la morte simbolica del sé storico, profano, e la rinascita fuori dalla causalità, lontano dal principio di individuazione, nel dismesso mondo caotico della determinazione fenomenica. A. cercava un’interpretazione della realtà fenomenica, per risalire all’origine della Verità: una via quantunque razionale che conduce, per mezzo di un sistema di simboli, all’occulta realtà dell’essere. La ritualità cui mi accingevo, trepidante, a sostenere, è stata vissuta, piuttosto subita, secondo protocolli a me del tutto oscuri. Una volta assimilata, essa ha innescato un processo di trasformazione che sta agendo, mio malgrado, in maniera sottile, dandomi la sensazione di un’evoluzione incompiuta, trasmigrante ed in continuo dipanarsi di “conoscenze” parziali, il cui contributo contiene tuttavia in sé la totalità della Conoscenza. Ma conoscere significa limitare, sistemare, addomesticare l’incommensurabile; con l’iniziazione avrei dovuto avvertire la trascendenza del pensiero logico, superare la natura rappresentativa del pensiero, le coordinate dei sensi. La mia iniziazione è stata la presa di coscienza della mia natura di universalità, del mio nulla, del mio appartenere all’universo ed alla sua inesplicabilità morale. Nel tempo rituale ho avvertito la mia anima impaurita, che si ritirava all’angolo dell’oscurità. Per A., avvicinarsi al significato della proprie esistenza è stato semplicissimo, ove da sempre egli s’interroga. Colui che avverte l’esigenza di colmare dei vuoti interiori, può avvicinarsi ad una religione, ad una delle tante metafisiche che, tuttavia, hanno la presunzione di “sapere”, adottano una divisa ed un sistema costruito di dogmi e consegne. A. non cerca la Salvezza, ma la Liberazione. Il Replicante è dotato di un'anima vegetativa, bestiale, non dotata di luce propria, lunarità che riflette il disegno dell'universo di cui è parte, come vittima predestinata. Eppure egli segna la presa di coscienza del proprio limite temporale, scansione di quello personale di essere subordinato. La possessione genica del Replicante viene smascherata con l’intrapresa consapevole dell’atto suicida oppure, alternativamente, con il rigetto antideterminista si concreta l’inappetibilità di una vita da schiavi, ed una soluzione è la follia, sì che postulare dei controadattamenti antievolutivi affrancanti la schiavitù genetica potrebbe virare l’individuo replica alla malattia mentale, in verità un’umanizzazione in itinere, una declinazione dell’offerta genica, la negazione della possessione. Nel dismettere i panni dello schiavo, per A., è consistita l’Iniziazione. Le creature del Golem e di Frankestein rappresentano gli archetipi antesignani della condizione schiavizzata dell'uomo moderno, stritolato dal desiderio di affrancamento dal limite vitale impostogli dal Creatore e dallo streben romantico teso alla conquista dell'amore e della libertà. La condizione di robot-schiavo-marionetta manipolata a distanza realizza l'eterno desiderio degli uomini di accollare altrove la necessità del lavoro e della sudditanza all'attività prosaica e quotidiana del bisogno materiale L’iniziazione mi ha restituito un arcano cosmogonico: l’offerta di segni di cui A. è la sintesi. Ed ho bisogno dell’aiuto dei Fratelli, per avvertire il contenuto esoterico che si sottende, per guadagnarmi la Luce, nettata dalle catene della conoscenza profana, dalla superstizione, dalle superfetazioni ideologiche, dall’ignoranza. La trasformazione rituale trasmigra l’anima nel superamento del qui ed ora, ma recuperando, restituendomi all’origine, restaurando l’allegoria sovraumana dell’espressione simbolica della verità inaccessibile dei grandi misteri fuori dalla natura. Occorre che A. ritorni più volte all’esperienza iniziatica, che vibri con essa, e lasciare ogni sospetto. Accedere a Dio tramite la morte mistica, dove nascita e fine coincidono con il tempo bifronte di un giano temporale, solidali, simultanei, neganti il libero arbitrio. L’iniziato ricusa sia dell’ejettità della nascita che dell’espulsione della morte, per divenire uomini veri, rinati allo spirito della rinunzia dell’uomo culturale e naturale. Smarrito nella foresta di domande che la vita ha imposto alla maturità dell’uomo A., disilluso e disincantato da miriadi di esperienze negative, tendo le mani nella speranza caritatevole della liberazione dalle affezioni. Decidendo di morire, sono stato per la prima volta artefice del mio destino, del cammino esistenziale, portandomi al cospetto delle mie responsabilità. I fratelli che mi hanno guidato in questo suicidio metafisico, hanno colto il mio tumulto delle passioni, il deprimersi della voluttà e la purificazione indelebile senza rimanere estraneo alla soddisfazione in qualcosa che per adesso, resta “muto”. L’immensa Verità che segue la Legge del Silenzio ammonisce l’A. stolto, che deve rimanere in contemplazione al di là del Velo di Maja, attraverso l’esperienza intimistica della solitudine e dell’appartamento. E nel simbolo della Casa, nel Tempio, ho potuto avvertire, ancora embrionalmente, il linguaggio del segno, del silenzio, più profondo del dire e dei clamori razionalistici. L’infinita ed orrida oscurità serve ad A. per liberarsi dai clangori, dalle perturbazioni, dalle turbolenze della vita profana, che si dibatte, ctonia, nelle pulsazione dei desideri, che generano bisogni, alla cui sodisfazione transeunte seguono altri desideri, in un samsarico laccio dalla stretta sempre più asfittica. Il silenzio assoluto è un luogo ad A. ancora sconosciuto, che permette di scoltare ed apprendere, acquisendo la parola magica del tacere dicendo, dell’affermare ascoltando, potere che il linguaggio non possiede. E ho colto, stupito per la conquista improvvisa, l’invito di taluni fratelli a tacere, a non disperdere l’anima nel vortice baccanalico ed orgiastico della verbosità autoreferenziale e solipsistica, onde sgrezzare la pietra gravitazionale quale A. posa in essere, alla casa del Tempio. L’invito a non parlare di ciò che non conosco, di ciò che non è chiaro, di quanto non appaia tollerante, contraddittorio, non parlare a chi non ascolta, a non dire se non d’amore fraterno. In qualità di Apprendista ho appreso, di conseguenza, la virtù del riserbo, della ponderata riflessione, già avvertita nel rito di iniziazione, un perfezionamento continuo derivato dall’anelito alla consacrazione dei lavori di loggia in riunione iniziatica. Le soste del rituale, infatti, hanno simboleggiato in chi vi parla, le tappe di un progressivo affinamento, necessario quanto inesplicabile a parole. Il segreto incomunicabile sull’essenza dell’essere è stata la conquista dell’iniziazione, riposta negli stati d’animo, nelle sensazioni e percezioni, impraticabili col linguaggio profano. La rivelazione iniziatca ha prodotto su A. la capacità di accogliere l’evento della gnosi superiore, tuttavia assai lontano per l’esiguità del cammino fin qui praticato; la liberazione attraverso la conoscenza integrale, la gnosi illuminata dal silenzio dell’incomunicabile realtà dell’essere al di là del velo di Maja: ecco l’attesa di questo vostro giovane fratello; l’origine ed il destino di tutte le cose, niente meno che il significato e la giustificazione davanti allo stupore che qualcosa esista piuttosto che il Nulla. Attraverso la rivelazione della mia autentica natura, prendo possesso di me e del Grande Architetto dell’Universo, e consegno il mio corpo al mistero inesprimibile ove la Luce esplicita il meccanismo della replicazione, erodendone la trasmigrazione, in una apocatastasi, un’abreazione che la conoscenza iniziatica del mondo promette di beneficiare a chi venne dall’oscurità. La miseria fisica dell’emanazione minore, dall’Uno/Tutto cui tutti appartenemmo, viene disvelata dalla gnosi iniziatica e l’opposizione Mondo/Dio si risolve nell’appartenenza all’origine. La prigione in cui A. si era mosso nel mondo profano, anela adesso, grazie ai poteri iniziatici, al “diverso”, “nuovo”, “estraneo”, “misterico”, “invisibile” e “sconosciuto” regno della Luce, scisso dall’ignoranza, dalla tenebre, dal corporeo. L’iniziazione ha svelato le colpe di A., i residui di affezioni e offese che A. ha procurato procedendo nelle tenebre, urtando nel sonno e nella cecità nel tentativo, miserabile ed adolescenziale, di conoscere il Principio. A. vorrebbe recuperare l’antica conoscenza, in cui si trovava prima della caduta, vorrebbe sapere chi era e chi è diventato. I concetti e le idee esoteriche hanno fatto breccia, mediante l’iniziazione, su questo vostro fratello, senza chiedere, interrogare, modulandosi autnomamente e sprigionandosi oltre la parola, discorso che rende finito l’infinito, ingabbiandolo nelle possibilità della mente umana. Mi guardo intorno per intercettare una presenza. Qualcosa sta certamente accadendo. Mi sono interrogato sul mio stato mentale. Mi sono chiesto la ragione del disgusto che avverto, al solo pensiero, di tutto ciò che ho fatto, anno dopo anno, con piacere o con rassegnata indifferenza. Come se avessi concluso l’esplorazione di un angolino al quale sono stato ammesso da qualcuno che lo ha predisposto per me. Tento di sondare le mie sensazioni, di modo da leggere alcune pagine incollate di un libro interiore e che ancora non conosco del tutto. Solo talvolta, come quando, per magia, qualche dito sconosciuto, ma eletto, può voltare quelle pagine, districandole. Avverto la disperazione dello schiavo. Ma non ho paura. Ho solo paura si possa ignorarlo. Grazie a tutti i Fratelli per la la loro, nostra, iniziazione quotidiana. Fr. A. A. Firenze, 16 maggio 2008 Agape rituale della Loggia Lorenzo il Magnifico n. 52 di Firenze Scarica la tavola Lavoro prodotto dal Fr. G. M. della Loggia Lorenzo il Magnifico n. 52
Partecipazione Una difficoltà che si riscontra nella definizione di partecipazione riguarda la doppia valenza semantica che assume il verbo “partecipare” nell’uso comune: da un lato significa “prendere parte” ad un determinato atto o processo, dall’altro “essere parte” di un organismo, di un gruppo, di una comunità. Quindi la partecipazione consiste in azioni determinate, ma significa anche una incorporazione attiva a diversi e possibili livelli. Aderire è una forma di partecipazione che significa condividere gli ideali e un programma, le regole ma la semplice adesione ai valori della Massoneria non richiede l’Iniziazione. Partecipare in Massoneria è vivere in tutte le forme possibili la Fratellanza, ricevere le informazioni ( che servano a dare forma ed essere ad una cosa innanzi agli occhi della mente ) ed avere la possibilità di darle, crescere insieme, far conoscere le proprie esperienze e far tesoro di quelle degli altri. Ma la Massoneria è anche un’Associazione, cosa significa: é il contratto ( stipulato con l’Iniziazione ) con il quale una parte (l'associante, La Loggia) attribuisce ad un'altra (l'associato) il diritto ad una partecipazione alle finalità dell’Associazione, dietro il corrispettivo di un apporto ( la presenza ) da parte dell'associato nella misura stabilita dai Regolamenti. Eccoci al dunque: in Massoneria PARTECIPAZIONE vuol dire PRESENZA. E’ previsto che ogni Fratello possa essere giustificato per cause di forza maggiore ma è anche vero che non possono esserci cause di forza maggiore ogni volta. Il Fratello che priva gli altri Fratelli della sua presenza non contribuisce e rallenta la crescita della Loggia. Lasciate adesso che io rivolga a me stesso ed a voi tutti una domanda : è stato utile condividere queste poche frasi ? Fraternamente, Ven. mo Fr. P. F. Firenze, 16 maggio 2008 Agape rituale della Loggia Lorenzo il Magnifico n. 52 di Firenze
Firenze , 16 Maggio 2008 RIFLESSIONI del Fr. M. D. La lettura delle prime quattro sezioni della prima lezione delle Lezioni Muratorie introduce in un mondo dove segni e simboli acquisiscono significati importanti e a più livelli di significato.. cuore nei confronti dell’Arte. Fr. M. D. Firenze, 16 maggio 2008 Agape rituale della Loggia Lorenzo il Magnifico n. 52 di Firenze
Massoneria e immigrazione Cari fratelli, il tema di questa sera è particolarmente delicato e ritengo non sia facile tentare un approccio massonico ad un argomento che ha così tanti contatti con la politica. Certo non voglio entrare in argomenti politici e pertanto cercherò di svolgere il mio lavoro partendo da alcune considerazioni antropologiche. L’immigrazione, può essere definita, l’incontenibile bisogno dell’uomo di spostarsi e ricollocarsi dove ritiene di riuscire a trascorrere con maggiore tranquillità e sicurezza la sua vita e quella della sua famiglia. La ricerca del territorio più idoneo alle proprie esigenze di progresso è comune a tutti i popoli, ricordo di antiche attività nomadi. Il flusso migratorio avviene dalla metà del secolo scorso dal Sud povero al Nord ricco e benestante del mondo, le vie migratorie furono altresì anche da Est a Ovest in tempi meno recenti tentando la fortuna in territori nuovi in velocissima evoluzione. Vi è da dire altresì che un movimento di masse avvenne ed avviene nel mondo con la colonizzazione, un tipo dominante di migrazione, anche di lungo periodo, che conquista ed impone il suoi costumi. In entrambi i casi comunque si realizza una miscela genica che porta a modificare la situazione precedente. Un ribollire di razze e di culture che si avvicinano si scontrano, si integrano, si disgregano per formare nuove realtà con il risultato finale di raggiungere qualcosa di completamente diverso e spesso migliore. Tutto ciò non è indolore, anzi è fortemente competitivo e consente al genere “homo sapiens sapiens” di auto rigenerarsi e rinnovarsi nel corso dei secoli e dei millenni. Scusate la lunga premessa ma era impossibile per me proporvi un ragionamento tra immigrazione, integrazione e massoneria senza chiarire il mio punto di vista evolutivo. Noi tutti siamo degli iniziati ed abbiamo dunque il privilegio di confrontarci senza esasperazioni e consapevoli di essere ascoltati e non contraddetti. Voglio solo prendere con voi tra le mani il rituale e verificare cosa posso trovare in esso che ci apra una riflessione sull’accettazione e l’integrazione dei migranti in territori diversi rispetto a quelli di origine. Ricordiamo quanto nel corso della Cerimonia d’Iniziazione il Maestro Venerabile dice al candidato ormai impegnato sulla Carità e sulla Clemenza, portando la sua attenzione alla presenza dell’Istituzione sui quattro quarti del globo e al fatto che sotto i suoi stendardi si schierano a migliaia di tutti gli strati sociali uniti nell’Ordine. Ricordiamo l’Esortazione del Maestro Venerabile all’Apprendista Ammesso al termine della sua Iniziazione, la puntualizzazione sulla solidità dell’Istituzione basata sulla pratica di ogni virtù morale e sociale. Alla meditazione proposta sulla Legge Sacra quale guida a tutti i doveri verso Dio, verso il prossimo e verso noi stessi aggiungendo di rispettarne il nome con il rispetto dovuto da ogni creatura rispetto al suo creatore. Esortando ancora al rispetto del prossimo agendo verso di esso con la Squadra, rendendo servizio al prossimo con Giustizia e Misericordia. Il richiamo ad un comportamento esemplare rispetto ai doveri civili quale cittadino del mondo ed infine le parole sugli ornamenti di cui ogni Massone si sforza di fregiarsi: la Benevolenza, la Carità, la Discrezione, la Fedeltà e l’Obbedienza. Ricordiamo quanto un Apprendista Ammesso deve sapere al suo Passaggio a Compagno di Mestiere, la conoscenza del fatto che su tutta la superficie della Terra tutti i Liberi Muratori lavorano nelle loro Logge quando il Sole è al suo meridiano, poiché la Terra ruotando costantemente intorno al suo asse, nella sua orbita intorno al Sole, vede la Massoneria presente su tutta la sua superficie. In base a tutto ciò mi sento di poter affermare che tutti i fratelli Massoni sono eguali di fronte all’Istituzione al di là del loro stato sociale, della loro razza, del colore della loro pelle, della loro ideologia politica e della loro religione. Ogni fratello, quindi, è un tassello di un grande progetto che deve far riflettere come in Massoneria fare valere qualunque differenza di classe o razza è un vero abominio. Non potevo non richiamarmi alla descrizione di quel grande Poeta e Massone che fu Ruyard Kipling della sua Loggia Madre in India, per lui terra di conquista, dove una forte integrazione e la fratellanza è totale per tutti i fratelli senza nessuna differenziazione di sorta. Vorrei potere rivederli,I miei Fratelli neri e scuri,Tra l'odore piacevole dei sigari di là,Mentre ci si passa l'appiccicafuoco;E con il vecchio khansamah che russa Sul pavimento della dispensa,Ah! essere Maestro Massone di buona fama Nella mia Loggia Madre, ancora una volta!
Insisto ancora su questo concetto poiché ogni Loggia è fondata sui punti cardinali, sul Cielo e la Terra in pratica non ha confini, questo è il pensiero dal quale cerco di farmi guidare, e che vi propongo, quando incontro per strada il migrante che magari mi “disturba”, con la sua richiesta di aiuto, quando vedo le immagini di imbarcazioni stracolme che trasportano migranti ad una delle nostre spiagge. L’esercizio di togliermi dal martellamento mediatico con tutti i suoi contrasti e di darmi una mia personale condotta da tenere con quanti di questi migranti mi sarà dato di incontrare è quello che mi porta a proporre a tutti voi fratelli di utilizzare gli strumenti che contraddistinguono la nostra fratellanza, infatti sono profondamente convinto che ognuno di noi può fare molto con il suo esempio di Tolleranza e la sua volontà di ricercare le eguaglianze e non amplificare le differenze. Ricordiamo fratelli che ogni migrante potrebbe un giorno diventare un nostro Fratello, magari Venerabile di una Loggia. Spero, con queste parole, di aver sollecitato la vostra riflessione su di un argomento attualissimo, forse il più importante dei nostri tempi. Già sotto i nostri occhi vi è un continuo cambiamento, l’Italia di oggi non è quella di soli dieci anni fa. I nostri figli o i nostri nipoti vanno a scuola in classi che ormai sono multietniche, in ruoli sempre maggiori della nostra, statica, società troviamo etnie diverse. Noi ci stupiamo di ciò, i nostri figli molto meno per i nostri nipoti sarà la norma. Nel contempo la nostra società si arricchisce, si evolve, cambia e si rende multiculturale e ciò penso non possa essere un male. La dinamica del mondo è inarrestabile noi stiamo vivendo un cambiamento epocale, difficile da razionalizzare e da accettare. Ho cercato di usare nello scrivere queste mie righe le punte del compasso, portando un argomento che dapprima mi sembrava così difficile tra di esse. Noi sappiamo che a differenza dei profani avremo sempre un riferimento solido e costante che ci porterà ad essere comunque protagonisti degli eventi perché ci dà gli attrezzi per essere pronti, sempre, per qualunque cambiamento. Nostro impegno è costruire per migliorarci e migliorando noi stessi in modo concreto portiamo con noi la consapevolezza della solidità e della serenità che ci dà il nostro essere Massoni, perciò sono convinto che anche coloro che non sono d’accordo con la mia visone sapranno comprenderla pur non facendola propria. Ho detto! Riunione di Loggia del 15 maggio 2009
Firenze , 16 ottobre 2009 della Loggia Lorenzo il Magnifico n°52 di Firenze - Gran Loggia Regolare d’Italia Firenze, venerdì 11 aprile 2008 Oggi, venerdì 16 novembre 2009 durante la nostra tornata ordinaria abbiamo inaugurato il nuovo tappeto di Loggia, per questo ho ripreso una mia precedente tavola e l’ho ampliata per dividerla con voi. Appena si entra in un Tempio Massonico (o/e nella chiesa di Rennes-le-Château) la nostra attenzione visiva è attratta da tanti simboli, tra questi possiamo annoverare il “pavimento a scacchi o a mosaico” (tessellated pavement). Questo particolare pavimento è realizzato da piastrelle bianche e nere posizionate in modo alternato come troviamo in una scacchiera. Esso si estende a forma di “quadrilungo massonico” con il lato maggiore orientato verso Oriente-Occidente. Le dimensioni ci pervengono dalla “geometria sacra e dalla scienza dell’armonia”, ricordando la “legge mosaica o legge degli opposti”. Se non esiste un vero e proprio pavimento troviamo al centro del salone un tappeto ricamato a scacchiera di colore bianco e nero e ai lati una particolare cornice. Questo tipo di pavimento o tappeto può portare alla mente di ognuno di noi diversi pensieri. Il primo, quello della scacchiera utilizzata per il gioco degli scacchi. Anche se ricordiamo che in origine i giochi sono molto di più che semplici passatempi profani, ma sono stati realizzati per trasmettere agli occhi degli iniziati certe verità. Su quasi tutti i dizionari si trova che il gioco degli scacchi è nato in India, si tratta di un antico gioco Persiano, il cui nome deriva dalla parola persiana Re ossia Scià (versione in italiano del più corretto Shah). Di fatto il termine “scacco matto” che determina la fine del gioco, deriva dalla frase persiana “Shah Màt” (il Re è morto). La parola Shah divenne in provenzale “Escac” e da allora entrò nella lingua comune. Ci sono anche quelli che fanno risalire il gioco durante la guerra di Troia, realizzato dai soldati achei. Per altri fu l’evoluzione del gioco strategico indiano del Chaturanga, sembra addirittura conosciuto da Alessandro Magno che nel 326 affrontò un esercito indiano disposto secondo lo schema utilizzato negli scacchi. Da allora il suo interesse per questo gioco fu tale che lo introdusse in Persia e in Babilonia. Altri ancora affermano che il Chaturanga non è altro che una derivazione di un altro gioco: il Xiangqi, di origine cinese. Infine chi asserisce che già gli Egizi conoscevano un gioco simile, il Senet, basato su una scacchiera di 30 o 33 caselle, con pezzi bianchi e neri. Esso era praticato dal Faraone e dalla moglie, ma anche dalle altre classi sociali. Anche Tutankhamon, aveva quattro scacchiere nel suo sepolcro ad accompagnarlo nel suo ultimo viaggio. Nel libro dei morti si trova infatti scritto che il defunto deve disputare una partita a Senet (7 pedine) contro un avversario invisibile per poter accedere al regno dei morti e solo con la vittoria si aveva la salvezza dell’anima. Comunque si sa che il gioco degli scacchi arrivò per due vie. La prima conduceva verso l’impero Bizantino, i Balcani e la Russia. L’altra attraverso la Sicilia e la Spagna. Di fatto è possibile trovare affrescate scacchiere in numerose chiese cristiane. In ogni caso è accettato da tutti che esso rappresenta la strategia della guerra, dove il combattimento si svolge tra i pezzi neri e i bianchi, per la supremazia sul mondo. Dal 1100-1200 ad oggi giorno il gioco si è evoluto arrivando ad utilizzare 16 pedine e 64 caselle, esso è un passatempo praticato da milioni di persone in tutto il mondo e difficilmente chi vi gioca vi cerca le implicazioni esoteriche che esso dovrebbe trasmettere. Il significato di ogni pedina si potrebbe così esporre: \ il Re rappresenta l’Io; \ la Regina rappresenta il potere della Sapienza, l’amore per il Re, è il pezzo più potente della scacchiera, si può spostare in ogni direzione e a qualsiasi distanza; \ gli alfieri rappresentano i punti cardinali della terra, essi si possono spostare su qualsiasi distanza, ma solo in diagonale, questo li rende vulnerabili; \ i cavalli rappresentano la capacità di proiezione verso il nemico, e la prudenza perché il suo modo di spostarsi lo rende al contempo pericolo e vulnerabile; \ le torri simbolo fortemente massonico, presente anche in molte carte dei tarocchi rappresentano la forza \ i pedoni rappresentano il microcosmo che diventa macrocosmo, la speranza.
Proprio con l’epoca feudale abbiamo questa evoluzione e i pedoni rappresentano i soldati, il Re e la Regina i regnanti, i cavalli i cavalieri gli alfieri i preti e le torri il castello. Lo scopo come nella vita era quello di salvare il Re, infatti non ci sono punteggi, ma solo il raggiungimento della vittoria sull’avversario. Perciò possiamo simbologicamente raffigurare la scacchiera come il mondo dualista della natura umana e la legge degli opposti nel creato, dove si alternano i quadrati bianchi e neri, identificati nel bene ed il male. Oppure sempre per rimane nell’immediato si potrebbero raffigurare il chiaro e lo scuro, il buio e la luce, il giorno e la notte, oppure le forze antagoniste come la terra e l’acqua, l’aria e il fuoco, il caldo e il freddo, il piacere e il dolore o una reazione binaria (destra–sinistra, moto–arresto, alto-basso) o comunque tutte le coppie di opposti. L’essenza e la sostanza sono rispettivamente il principio attivo (bianco) rappresentato come maschie e il principio passivo (nero) rappresentato come femminile. Anche se i contrari talvolta possono diventare complementari. Sicuramente quello che si trova in antagonismo a un certo livello diventa complementare ad un altro livello. Tale concetto è più tangibile nelle colture orientali, infatti se valutiamo lo yin e lo yiang, notiamo come la figura sia rispetto al bianco e al neo l’esatto equivalente, il fatto che siano separati da una linea sinuosa, rende la figura perfettamente inseparabile, l’alternanza del bianco e del nero, ricorda inoltre il I-Ching (che ha 64 esagrammi). Bisogna anche dire però che il campo d’azione che stiamo valutando è solo bidimensionale e rappresenta quindi la terra (piatta, perciò misurabile con la squadra), limitata dai suoi punti cardinali. Il pavimento rettangolare del Tempio di Salomone Re di Israele realizzato a Gerusalemme, vuole ogni volta che entriamo nel Tempio Massonico ricordarci il cammino che dobbiamo percorrere, e l’abilità necessaria per affrontare i contrasti dell’esistenza. L’alternanza del bianco e del nero ci ricorda che noi oltre le virtù abbiamo i vizi, amore ed odio, aspetti buoni ed altri cattivi etc. La scacchiera rappresenta il nostro io e la situazione conflittuale che abbiamo dentro di noi, le forze contrarie alla formazione della nostra persona. Si potrebbe pensare al Dottor Jekill e Mister Hyde. Mi torna in mente il motto greco: “Conosci te stesso, domina te stesso, nobilita te stesso.” Dopodiché per raggiungere gli obiettivi è necessario combattere: per voi stessi, per chi amate, per i vostri ideali. Oltre ai significati fin qui elencati potremmo esporre anche un concetto più profondo, che risulta essere dato dal duplice senso del colore nero, di fatto fino ad ora abbiamo guardato il colore solo nel suo aspetto inferiore e cosmologico. Perché però sia completo bisogna guardarlo anche in senso superiore e metafisico. Concludo questa mia tavola affermando che: …è vero che nasciamo in solitudine e moriamo in solitudine, …che ognuno è Maestro di se stesso, ma è anche vero che per raggiungere la nostra crescita interiore abbiamo bisogno del lavoro con gli altri Fratelli, solo così potremmo contribuire alla costruzione del Tempio Massonico nel Mondo.
Firenze, 16 ottobre 2009 Agape rituale della Loggia Lorenzo il Magnifico n. 52 di Firenze
Firenze, 21 Febbraio 2014
LES GRENADES (Paul Valéry)
Il melograno è una pianta antichissima che ha avuto origine nell’Asia Occidentale.
Viene considerata, assieme al melo cotogno e alla vite, uno dei più antichi alberi da frutta coltivati.
Il suo frutto, ma anche i suoi semi e il suo fiore, sono quasi sempre associati nelle civiltà antiche alla fertilità e alla fecondità. I Fenici diffusero la pianta di melograno durante i loro viaggi in tutto il bacino del Mediterraneo. La pianta di melograno viene citata più volte nella Bibbia. La cita nel libro dell’Esodo quando scrive che immagini raffiguranti questo frutto dovevano essere applicate sugli abiti rituali dei sacerdoti. Descrive le melagrane che adornavano i capitelli delle colonne che si trovavano nel tempio del re Salomone in Gerusalemme. Inoltre la melagrana è uno dei 7 frutti elencati nella Bibbia come speciali prodotti della “Terra Promessa” infatti dice: “….il Signore ti porterà in un’ottima terra… terra da grano, da orzo e da viti dove prosperano i fichi, i melograni e gli ulivi”. Nel Cristianesimo la melagrana, a causa del colore rosso vermiglio dei suoi semi e soprattutto del suo succo, è simbolo del sangue versato da Cristo e dai Martiri quindi del martirio. La melagrana si trova in molti dipinti a tema religioso e spesso i pittori del XV e del XVI secolo raffiguravano il Bambino Gesù con in mano una melagrana che raffigura la passione che il Cristo dovrà subire (in figura, un particolare del tondo della Madonna della Melagrana del Botticelli, 1487, custodito presso la Galleria degli Uffizi). Simboleggia però un martirio fecondo perché si riferisce alla nuova vita donataci dal Redentore. Nel Medioevo e nel Rinascimento il simbolismo della melagrana si riconduceva a quello della Chiesa che unisce in una sola fede numerosi popoli mentre i suoi tanti chicchi indicavano i misteri della sapienza divina. Anche nel mondo orientale il frutto della pianta di melograno rappresentava abbondanza, fertilità e fecondità. Tavola elaborata dai Cdm Fr.lli S. C., R. G. e R. S. Tavola del Fr. A.B. della Loggia Lorenzo il Magnifico n.52 Socrate nasce tra il 470 e il 469 avanti Cristo ad Atene, quando i Greci, con la battaglia dell'Eurimedonte, sconfiggono definitivamente i Persiani: figlio di Sofronisco, uno scultore che gli trasmette il mestiere, e di una levatrice, Fenarete (nome che significa "colei che fa risplendere la virtù"). Una famiglia, molto probabilmente, di origini aristocratiche e benestante, visto che dai dialoghi platonici non emerge alcun lavoro svolto da Socrate. Il “fondatore della filosofia moderna figlio della pietra e della vita, dello scultore che plasma e della levatrice che aiuta a far nascere a estrarre la vita dal nostro interno ! Gia questo mi ha indotto alla riflessione guardando il tutto con occhi massonici. Socrate non ci ha lasciato niente di scritto, quello che è giunto a noi del suo pensiero lo possiamo leggere in platone e da senofonte; fra le sue piu celebri affermazioni vi è il “So di non sapere”. Dalla unione e applicazione di questi due concetti, il so di non sapere e la maieutica, l uomo può incamminarsi lungo il sentiero che conduce alla conoscenza, giorno dopo giorno interrogandosi riguardo il mondo e riguardo se stesso, capendo che in ognuno di noi vi è la verità ma che occorre inseguirla costantemente, senza fermarsi mai, poichè sappiamo di non sapere. Declinando la figura di Socrate in termini massonici lo possiamo considerare come il secondo sorvegliante ante litteram, un pungolo per iniziare a percorrere le vie della massoneria, primo maestro che ci insegna che non esiste una verità ma esiste la nostra verità cosi come il nostro fratello avrà la sua verità e che il nostro obiettivo è la ricerca incessante della medesima Tavola del Ven.Fr. M.V. della Loggia Lorenzo il Magnifico n.52 in occasione del terzo anno di Venerabilato del Ven.Fr. S.Z. 20/11/2015 Ricordo essenzialmente al sottoscritto, che in occasione della conferma del M.V. lo scorso anno,feci riferimento alla bilancia della giustizia posta alle spalle di Abramo Lincoln. 11 primo piatto poteva significare che il M.V è “ il primus inter pares”, il secondo che la figura dell' M.V è “ sacra e inviolabile”. Tavola del Ven.Fr. M.C. della Loggia Lorenzo il Magnifico n.52 Queste semplici parole non sono per me, il solo motto della Repubblica Francese, hanno un significato molto più profondo, questo fin dalla mia più tenera infanzia… Tavola del Ven.Fr. M.V. della Loggia Lorenzo il Magnifico n.52 La PERFEZIONE, elemento fondamentale della crescita per il Libero Muratore Tavola del Fr. G.D. della Loggia Lorenzo il Magnifico n.52 Sul significato dei simboli e delle parole sono stati scritti un’infinità di libri da parte di molti studiosi che hanno affrontato l’argomento da diversi punti di vista, a testimonianza dell’importanza di tali aspetti per le persone. Templari: da un apparente inizio ad una apparente fine Tavola del Ven.Fr. M.V. della Loggia Lorenzo il Magnifico n.52-10/07/2016 Penso di non affermare niente di nuovo nel dire che mai come in questi ultimi tempi assistiamo ad un interesse così vivo nei confronti del più prestigioso Ordine monastico-cavalleresco del medio evo, ammantato tra verità e leggende: quello dei Templari. Perché mi domando l'Ordine continua ad affascinare un'epoca come l'attuale che ha fatto del proprio credo solo la certezza della scienza e della più avanzata tecnologia? Spesso la verità, ogni verità, è più semplice e vicina al nostro cuore di quanto si possa immaginare: non c'è forse oggi un'ansia di avvicinarci, indagare, e comprendere ciò che è diverso dal nostro modo di pensare? Una ricerca di puri ideali perduti, una esigenza di disciplina interiore, di rigore morale, di difesa del debole, di consacrazione a valori più alti che trovano il loro culmine nel G.A.D.U.? Negli anni 1000/1100 in Occidente la scienza ufficiale nascondeva la tradizione esoterica, mentre questa rifulgeva in Oriente: i ceti nobiliari plaudivano alle istituzioni di Ordini monastico militari, e la ragione di tale entusiasmo era che si riceveva vitto, armi, alloggio, posizione sociale, in cambio della pronunzia dei tre voti di povertà, obbedienza e castità. Nel 1118 Papa Urbano II si era reso conto che i re al comando delle crociate, trascorrevano le settimane in dispute su chi dovesse essere il capo supremo: ergo non solo perdevano mordente, fede, ma pure le battaglie. Un nobile francese Ugo de Payens, per altri storici Ugo di Pagani, percepì l'esigenza di creare un organismo capace di difendere i luoghi Santi e proteggere i pellegrini. Con altri otto cavalieri fondò il primo nucleo dei Christi Milites, avendo successivamente come sede la parte inferiore delle rovine del Tempio di re Salomone e quindi indicati quali Cavalieri del Tempio. Circa dieci anni dopo, i nove Cavalieri fondatori dell'Ordine fecero ritorno in Francia, e presentandosi al Concilio di Troys chiesero di essere costituiti in ordine religioso, precisamente monastico-militare con una nuova regola dettata da Bernardo di Chiaravalle. Esisteva un vertice piramidale nella persona di un Gran Maestro: tutti i Gran Maestri venivano considerati, e lo erano, persone di elevata cultura, alta spiritualità, profonda conoscenza esoterica. L'Ordine del Tempio divenne negli anni a seguire sempre più ricco, più forte e temuto: in Occidente aveva collocato le proprie Magioni un po' ovunque, coltivava la terra, favoriva il commercio mediante l'istituzione di mercati e la creazione di un sistema internazionale di depositi, pagamenti e crediti. Custodivano nei loro castelli il tesoro di re e principi, facevano servizi di tesorieri a favore di grandi privati, avendo cura di oggetti preziosi ed archivi; si occupavano di esazione di tasse, d'incassi per conto terzi, facevano prestiti e costituivano rendite e pensioni. L'Ordine fin dalla sua fondazione aveva scelto come campo d'azione l'Oriente dove si era distinto per il suo coraggio in difesa della fede; ma non trattavasi di un Ordine chiuso, bigotto: lo spirito monastico infuso da san Bernardo si univa alla intraprendenza propria dei guerrieri, alla curiosità che animò sempre la loro ricerca nel campo della speculazione filosofica, religiosa e finanziaria. Avidi di conoscenza furono loro spiegati (sempre dall'Oriente) segreti di carattere scientifico, matematico, medico, alchemico dimostrando una notevole apertura mentale rapportandola a quei tempi. Tutti questi fattori fecero temere in Occidente una rivoluzione sociale, politico- culturale che potesse sovvertire lo status quo. Nel 1282 salì al trono di Francia Filippo IV detto il bello il quale aveva svuotato a causa di varie guerre le casse dello Stato: pensò bene di coprire i deficit economici nella maniera più semplice, attingere dai beni ecclesiastici e quindi anche dei Templari in quanto monaci. Nel 1296 Papa Bonifacio VIII con la bolla CLERICIS LAICOS proibiva ai laici di tassare il clero pena la scomunica: Filippo non se ne dette per inteso. Nel 1305 fu eletto al trono di Pietro Clemente V il quale si trovò in sintonia con Filippo, tanto che nel 1307 iniziarono gli arresti dei Templari: da cultori, studiosi di scienze esoteriche, amministratori della giustizia e di economia, divennero immediatamente accusati di eresia, idolatria, di riti odiosi. Nel 1312 la bolla VOX CLAMANTIS pronunziava l'estinzione dell'Ordine. Ma stranamente pochi anni fa dagli archivi segreti del Vaticano è uscito tramite la dottoressa Barbara Frale un documento detto Editto di Chinon dal quale si evince che l'Ordine non è estinto ma sospeso. Nel 1314 fu bruciato al rogo l'ultimo Gran Maestro Jacques de Molay uomo pio e probo, di cultura modesta, contrariamente ai predecessori, il quale gridò la propria innocenza con una maledizione al re e al Papa “ANCHE VOI DOVRETE COMPARIRE AL TRIBUNALE DI DIO: L'ORDINE E' PURO” Il 18 marzo u. s il Gran Priorato di Francia ha celebrato la ricorrenza di 702 anni dall'esecuzione del Gran Maestro e gli 898 anni dalla fondazione dell'Ordine. I superstiti si rifugiarono in Spagna in Germania e in Inghilterra tant'è che nuclei massonici furono costituiti proprio dai Templari. Ebbero contatti con i costruttori di cattedrali? Certamente sì essendo costruttori essi stessi. L'idea di una affiliazione dei Templari rifugiatisi in Scozia trovò da parte dei Primi nuclei massonici forte simpatia in quanto i Cavalieri del Tempio furono le vittime di ciò che i massoni odiavano ed odiano maggiormente: l'inquisizione e l'assolutismo. Non si può negare che lo spirito Templare si mantenga ancora oggi nei nostri Capitoli: anche noi sogniamo e ci adoperiamo per una umanità migliore nello spirito e nel governo di se stessa. A convalidare questa tesi sarebbe stata fondata una Commanderia segreta, HERODOM-KILWINNING, e i cavalieri templari vi avrebbero esercitato le loro attività come massoni per timore di nuove persecuzioni. Nel 1737 il cavaliere di RAMSAY giunse in Francia allo scopo di reclutare adepti per una Loggia Massonica al vertice della quale si trovavano i Cavalieri del Tempio custodi della dottrina templare. Dalla primogenitura del cavaliere di Ramsay sarebbe discesa l'odierna massoneria di rito scozzese antico e accettato al vertice della quale si trovavano i commendatori dell'Aquila bianca e nera ossia i Cavalieri Templari. Inoltre si collegarono in Svizzera l'Ordo Templi Orientis, in Inghilterra e negli Stati Uniti nell'Order off Knights Templars, in Svezia nel Rito Svedese. Nel 1894 a Bruxelles si costituì una segreteria internazionale di neotemplarismo e nel 1934 si creò un consiglio di reggenti. Nel 1939 l'archivio fu portato in Portogallo al Gran Priore della provincia Lusitania, don Antonio Campello Pinto de Sousa Fontes, il quale nel 1942 fu nominato Reggente e Guardiano dell'Ordine che assunse il nome di Sovrano Ordine Militare del Tempio di Gerusalemme. Ovvero OSMTH. Nel 1960 la Gran Maestranza è stata assunta dal figlio don Fernando Pinto Pereira de Sousa Fontes attuale Gran Maestro dell'Obbedienza a cui appartengo. NON NOBIS DOMINE NON NOBIS SED NOMINI TUO DA GLORIAM. Nel giorno di Santa Margherita X Giugno MMXVI A.D. - 898 O.T.
Tavola del Ven.Fr. M.C. della Loggia Lorenzo il Magnifico n.52-25/11/2016 « Et de l’union des libertés dans la fraternité des peuples naîtra la sympathies des âmes, germe de cet immense avenir où commencera pour le genre humain la vie universelle et que l’on appellera la paix de l’Europe…»
Fin dal primo momento in cui siamo stati ammessi nell’istituzione, ci viene richiesto di praticarle oltre alla carità, non solo in Loggia ma anche nella nostra vita quotidiana, in quanto dobbiamo essere d’esempio non solo per i nostri Fratelli ma per l’intera società. Tu mi chiedi fratello mio, quando l’uomo raggiungerà la perfezione.
Tavola del nuovo Maestro della Loggia del Ven.Fr. M.V. - 25/11/2016 letta nel giorno della sua Installazione Cari Fratelli, permettetemi di ringraziarvi per l'onore che avete voluto
riservarmi: onore, ma anche onere perché il M.V. sente in sé una responsabilità morale verso ogni fratello, deve ascoltare, ancora saper ascoltare, con l'auspicio che ogni fratello veda in tale figura non solo colui che unitamente ai sorveglianti conduce i lavori di Loggia, ma colui a cui potersi confidare e consigliare.
del Maestro della Loggia Ven.Fr. M.V. - 25/11/2016 letta nel corso dell'Agape Bianca del 10/12/2016 Una Loggia celebra o dovrebbe celebrare ogni anno tre feste, quella della propria fondazione e le due feste solstiziali: quella consacrata alla Speranza, corrispondente al solstizio d'inverno e quella consacrata alla Riconoscenza, corrispondente al solstizio d'estate. Spostandone lievemente il giorno, queste due feste si fanno cadere rispettivamente al 27 dicembre, giorno di San Giovanni Evangelista ed al 24 giugno giorno di San Giovanni Battista. I due Giovanni divennero patroni dell'Istituzione. In estate la natura è rigogliosa, la luce si propaga con tutta la sua forza sull'Universo: nel solstizio d'estate gli uomini esprimono gratitudine al sole che, non tradendo le loro speranze, ha fecondato di nuovo la terra, che sprigiona dal suo seno le messi e biondeggia di spighe. Il solstizio d'inverno è dedicato alla Speranza: alla speranza nella quale dopo un periodo buio, gli uomini auspicano che il sole sprigioni nel loro animo forza e vigore. Da un solstizio d'inverno in cui sembra lo spirito sia reso maggiormente cupo se pensiamo alle Tenebre che vogliono incatenare la Luce ma ... improvvisamente “ordo ab chaos”,” l'ordine nasce dal caos” e il Dio della Luce si eleva riprendendo il suo volo nei cieli, coi raggi benefici asciuga la Terra inondata, la scalda e si odono inni di gioia e di speranza. La nostra Istituzione ha scelto i solstizi per celebrare i grandi fenomeni della natura, il trionfo della luce sulle tenebre: ci riuniamo in tutto il mondo a mensa comune per rinsaldare vincoli di Fratellanza aprendo al San Giovanni Evangelista l'animo a nuove speranze, al San Giovanni Battista celebrare nuovi trionfi.
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